Raramente, di recente, un voto democratico aveva cambiato tanto in così poco tempo come nel caso della Brexit: la democrazia come strumento di governo controllato funziona ancora? Come sta mutando e in che rapporto è con le istituzioni?
La democrazia delegata nasce come formula per ridurre la possibilità di rivoluzioni violente e incontrollabili, attribuendo a un’assemblea la rappresentanza e la risoluzione dei conflitti interni a una nazione, gestendo transizioni e mutamenti pacificamente. Quanto più efficacemente le differenti fazioni sono rappresentate, tanto più tale meccanismo funziona; e viceversa.
Ma come strumento “antirivoluzionario”, la democrazia sta profondamente mutando. Sembra anzi che proprio il voto popolare stia diventando il mezzo privilegiato per attaccare il modo di pensare le vigenti istituzioni. Occorre perciò domandarsi: che rapporto hanno sviluppato le istituzioni, nazionali e internazionali, con l’ormai quasi imprevedibile voto popolare? E come siamo arrivati a questo?
La Brexit, volenti o nolenti, è la scelta democratica di un popolo tra i più politicamente maturi del mondo: una delle camere rappresentative più antiche del mondo è lì a dimostrarlo. Non stiamo parlando insomma di “turisti della democrazia”, ma degli inventori stessi della democrazia liberale. Il rapporto tra i britannici e il voto inoltre è saldo e l’affluenza a questo referendum consegna un paese spaccato, ma deciso e presente nelle urne. Non ci si può dunque appellare al disamore verso il voto o la politica.
Che questa poi sia una scelta di pancia o ragionata, responsabile o irresponsabile, lo scopriremo col tempo: ma parliamo di un voto oggettivamente rivoluzionario, che ricorda come l’Unione Europea sia figlia delle istituzioni e non del popolo. Le decisioni fondative, infatti, sono state sempre prese da delegati, non direttamente dai cittadini. La conseguenza ovvia è che, in un momento nel quale il rapporto di rappresentanza tra cittadini e delegati si rompe o incrina, le decisioni prese da questi ultimi vengono messe radicalmente in discussione. Come questo accadrà e con quali esiti, lo vedremo nei prossimi mesi; ma è chiaro che la sfiducia verso l’Unione Europea nasce da una evoluzione della rappresentanza, prima ancora che da mancanze della UE stessa, eventualmente effetto di questa evoluzione.
Questo voto marca poi la distanza dalla realtà di una certa intellighentia internazionale (e internazionalista) che negli ultimi mesi ha dipinto scenari apocalittici e ha dato degli ignoranti a quanti avrebbero votato per l’uscita dalla UE. In gran parte sono gli stessi che si erano mobilitati recentemente contro Hofer in Austria, anche allora agitando lo spettro dell’antidemocrazia e della fine dell’Europa. Viene quasi il sospetto che portino sfortuna, questi signori; sicuramente, fare dall’esterno pressioni e inviti politici senza appartenere alle realtà che commentano, rafforza in molti cittadini l’idea di un’intesa quasi complottistica tra i delegati istituzionali, che si spalleggiano a vicenda come una lobby internazionale. Vero o falso che sia, resta un fatto: la quasi totalità delle istituzioni sulle due sponde dell’Atlantico tifavano contro il Brexit e hanno perso contro i contadini e gli operai delle Midlands. Questo è contemporaneamente un bel segnale e un cattivo segnale per la democrazia.
Il primo evidente dato politico di questo voto britannico è allora che diviene urgente ripensare il rapporto tra istituzioni e voto popolare, ovvero la democrazia. Si avrà gioco facile nel definire disinformati quanti hanno votato la Brexit, come sono neonazisti quelli che votano Hofer o la LePen, razzisti quelli di Salvini, intolleranti gli elettori di Trump. Queste definizioni sono attacchi che probabilmente aiutano più che danneggiare i diretti interessati; ma in ogni caso, quelli appena elencati sono tutti voti contro un certo modo di intendere lo status quo e la rappresentanza democratica sia negli Stati che nella comunità internazionale; sono, per quanto impresentabili per qualcuno, voti rivoluzionari e ultrademocratici. I segnali sono diversi ed evidenti: non sappiamo bene dove stiamo andando, ma ci stiamo andando velocemente.
I voti imminenti negli Stati Uniti, in Francia e in Germania potranno segnare un rallentamento o un’accelerazione, ma difficilmente un arresto di questo fenomeno.
@barbadilloit