Io a Buffon voglio bene. Qui su Barbadillo.it, al Gigione nazionale abbiamo sempre tributato rispetto e, perché no, un pizzico di ammirazione. Di lui – io che esco pazzo per il ruolo del portiere – ho in mente l’incarnazione perfetta del numero Uno che ai mondiali di Germania entrava in campo per primo, ad abbeverarsi all’aria tragica del campo, e se ne usciva per ultimo. Con lo scudo o sopra di esso. Di lui – io che sono un timido romantico del pallone – ricordo la decisione di scendersene in B con la Juventus facendocela diventare un pizzico più simpatica.
Sia chiara anche un’altra cosa. Chi scrive ha una stima incondizionata per Paolo Sollier, per esempio. Come per Paolo Di Canio, Socrates. Gente che s’è immischiata con coerenza, non per sport. Appunto. A prescindere dalle idee. Mi incanta il diventare icone, da un lato, e dall’altro il portato culturale che arricchisce uno sport – che è il calcio – che troppi vorrebbero asettico, quasi un algoritmo, in nome del tifoso che si fa cliente (ma questa è un’altra storia).
Ora Gigi Buffon ha bisogno di tutti noi perché l’ha ghermito la tentazione post-ideologica di passare (o farlo passare?) per il Fabio Volo del calcio, per il Jovanotti dell’area piccola. E questa, per il portierone di Carrara, sarebbe una deminutio notevole dato che – accordando letteratura e musica al rettangolo verde – questi potrebbe incarnare almeno un Caikovskij coi guantoni o un Bukowski in braghette.
L’intervista rilasciata all’Unità ha del clamoroso. Andando nell’ordine: da giovane era un indisciplinato che faceva arrabbiare tutti, si comprava la Porsche e faceva riferimenti nazifascisti che però lui non sapeva fossero tali. Poi l’ha sdoganato un comunista vero (col busto di Stalin incorporato, mica Madre Teresa di Calcutta!) come Renzo Ulivieri che, incantato dal suo senso di giustizia (in uno spogliatoio di serie A!) gli chiese sdegnato come mai avesse la nomea di uomo di destra. Come se poi opporsi alle ingiustizie fosse prerogativa di partito o sensibilità politica.
Giusto per la cronaca, s’è pure rimangiato l’appoggio incondizionato che a suo tempo diede a Mario Monti, il professor dei professori che voleva chiudere il campionato per un cinque-sei anni. Incensa per il “patriottismo” niente poco di meno che Giorgio Napolitano e Sergio Mattarella però tiene a precisare di non essere “un nazionalista stupido”: scivola, evidentemente, sulla retorica del tricolore e del Quirinale e, forse, il “nazionalismo stupido” non è lo “stupido nazionalismo” del novelli cultori del Ku Klux Klan fuori tempo massimo, ma il campione sportivo nota che il sentimento nazionale esce fuori alle Olimpiadi, ai Mondiali.
E poi il colpo di genio, la mandrakata. Il suo idolo? E’ Alexis Panagulis. Chi? Da Wikipedia: “Fu un intellettuale e attivista per la democrazia e i diritti umani, rivoluzionario non marxista in lotta, anche armata, contro la dittamtura dei colonnelli”. Capito?
Se c’è delusione non è nel calciatore, nè nelle scelte politiche ma nello scoprire che se Buffon non avesse fatto la storia del calcio. forse, se lo sarebbero trovato candidato a 30 voti nel partito dominante a Carrara. Almeno a leggere l’intervista rilasciata all’house organ del renzismo. Anche i campioni possono scivolare sulle bucce di banana, farsi incastrare negli schemi della propaganda politica loro malgrado. Da icona di italianità, l’Unità lo trasforma in gagliardetto dell’arci-italiano. Sempre pronto ad accorrere in soccorso del vincitore. Uguale uguale a tutta quella chiorma di personaggetti in cerca di collocazione che si va a fare folcloristici e odiosi selfie a Predappio, millanta appartenenze di sangue e poi (inevitabilmente) si candida a sinistra.
Noi sappiamo che Buffon è difficilmente incapsulabile in triti schemi politici finalizzati alla buona riuscita di una consultazione elettorale e referendaria. E sappiamo pure che una papera, in porta, ci può sempre scappare.
@barbadilloit