6 giugno 1961. Carl Gustav Jung muore a Küsnacht (Cantone svizzero di Zurigo). Un intervento sui rapporti tra lo psicoanalista-antropologo e il nazionalsocialismo. Jung è stato spesso sospettato e addirittura accusato di essere stato un antisemita, un filo-nazista se non addirittura un nazista tout court
Al momento dell’ascesa al potere del nazionalsocialismo nel 1933, Jung era vice Presidente dell’Allgemeine Aerztliche Gesellschaft für Psychotherapie (Associazione di Medicina generale per la Psicoterapia), alla presidenza della quale si trovava il prof. Ernst Kretschmer.
Quest’ultimo dette le dimissioni e non si iscrisse mai al NSDAP pur restando in Germania fino alla fine della guerra senza alcuna molestia da parte del Regime. Il suo nome lo ritroveremo tra quelli di centinaia di docenti universitari che firmarono il “Bekenntnis der Professoren an den deutschen Universitäten und Hochschulen zu Adolf Hitler”, il manifesto di solidarietà e di impegno alla politica di Hitler da parte del mondo della cultura accademica, ma continuò a non essere iscritto al Partito.
In seguito alle dimissioni di Kretschmer e alle richieste che gli giunsero dalla maggior parte degli altri dirigenti dell’associazione degli psicoterapeuti, Jung accettò di diventarne il Presidente. Nel giro di pochi mesi, favorito anche dal fatto di essere svizzero e non tedesco, Carl Gustav Jung trasformò l’associazione psicoanalitica da nazionale a internazionale. Anche nel nome dell’associazione fu inserito il termine “Internazionale”.
Gli anti-junghiani sostengono che egli abbia favorito le dimissioni di Kretschmer e che con la trasformazione da nazionale a internazionale dell’associazione intendesse favorire la diffusione dell’ideologia nazionalsocialista fuori dal Reich. Si tratta palesemente di una forzatura del tutto teorica e arbitraria non avvalorata da documenti.
Oltre alla Presidenza dell’associazione internazionalizzata e divisa in sezioni nazionali, Jung fu eletto Presidente anche della sezione svizzera mentre la sezione tedesca fu presieduta dallo psicoterapeuta Matthias Heinrich Göring, cugino del ministro Hermann Göring, parentela che comunque non aveva avuto peso nella nomina del prof. Göring vista la sua carriera scientifica (seguace delle teorie dello psicoterapeuta viennese Alfred Adler) che datava da molto prima dell’importante incarico politico del più famoso cugino; ambedue fecero una fine tragica: Matthias morì in prigionia in Polonia nel dopoguerra e il più noto cugino e ministro Hermann fu impiccato dopo la morte visto che si era suicidato prima dell’esecuzione.
Carl Gustav Jung continuò ad essere anche direttore della pubblicazione (lo “Zentralblatt für Psychoterapie”) divenuta organo internazionale degli psicoterapeuti.
Proprio dall’organo di stampa nacquero i primi problemi per il prof. Jung. Nel febbraio 1934 infatti, uno psichiatra svizzero, il dott. Gustav Bally lo attaccò duramente a causa di una sorta di proclama ideologico della psichiatria nazista pubblicato sul supplemento tedesco dello “Zentrablatt” e poi ripreso anche dall’edizione internazionale diretta appunto da Jung, anche se lui non ebbe parte nella stesura del documento.
Jung replicò affermando di ritenersi impegnato per i pazienti al di là delle loro nazionalità ed ideologie: “Il medico che, in tempo di guerra, aiuta anche i feriti dell’altra parte, non può essere ritenuto un traditore dal suo Paese”.
Curioso il fatto che Bally e altri impegnati nella campagna contro lo “Jung nazista” non avessero trovato niente da ridire su Sigmund Freud quando questi dette il suo consenso alla rimozione dell’ebreo polacco Max Eltington (sostituito con l’ariano Felix Boehm) alla testa del gruppo freudiano nell’Associazione psicoanalitica del Drittes Reich.
Rispettoso della sua carica super partes invece Jung al momento dell’esclusione dei membri ebrei dall’associazione tedesca, stabilì che essi avrebbero potuto aderire liberamente all’associazione internazionale, garantendo loro così la protezione di fatto.
Del resto lo “Zentralblatt” fino al 1939 continuò a pubblicare articoli di collaboratori ebrei. Fu proprio in quell’anno, alla vigilia della guerra, che Carl Gustav Jung lasciò la presidenza dell’associazione internazionale, quando non ricevette garanzie da parte della grossa componente tedesca, italiana, ungherese e giapponese, a proposito della non applicabilità delle leggi razziste tedesche ai membri dell’associazione.
Nonostante ciò si è voluto comunque classificare Jung nel campo degli antisemiti anche per aver sostenuto la diversità identitaria degli ebrei (come quella di altri popoli, come ad esempio i cinesi o quella di altri gruppi etnici), sostenendo l’esistenza di una “psicologia ebraica”, diversa dalle non ebree.
Fatto che del resto gli stessi ebrei sostenevano, Si pensi al famosissimo humor ebraico rivendicato come tipico ancor oggi ad esempio da Moni Ovadia.
La rivendicazione delle differenze non significa affatto porle in una scala valoriale positiva o negativa.
Peraltro, lo stesso ebreo Sigmund Freud, nel 1908 aveva affermato – con ciò apparentemente dimenticanto la mistica ebraica, la Cabala etc. -: “Per noi Ebrei, che non abbiamo elementi mistici, tutto è più facile”.
Sempre Freud, in corrispondenze private negli stessi anni di inizio secolo aveva ribadito la specificità ebraica del suo pensiero e della sua psicoanalisi, come un fatto evidente, da non porre assolutamente in discussione.
Il dibattito sulle diversità psicologico-etniche era già stato affrontato da Jung e dalla comunità scientifica già molti anni prima della nascita dell’ideologia nazionalsocialista.
Quanto al movimento nazional-socialista Jung, di sicuro nei primi anni del nuovo Reich lo percepì come un elemento positivo, interessante e per molti versi ne rimase affascinato.
Geoffrey Cocks, lo studioso autore della”Psicoterapia nel Terzo Reich”, libro pubblicato in Italia da Bollati-Boringhieri, ammette che per “comprendere appieno i motivi del coinvolgimento di Jung nelle vicende della psicoterapia tedesca degli anni trenta, sarebbe necessaria un’analisi psicologica della vita e dell’opera dello studioso svizzero, impresa né breve né facile a compiersi”.
Tuttavia, Cocks azzarda a proposito del pensiero di Jung: “L’ambiguo riferimento a forze, simboli, razze ed élite ricorda il relativismo politico che aveva paralizzato gli intellettuali tedeschi dei secoli XIX e XX. Inoltre le sue dichiarazioni del periodo nazista rivelano un disprezzo piuttosto esplicito per la pretesa superficialità e meccanicità della democrazia, e per la tendenza di quest’ultima a svalutare o negare le ineffabili profondità dell’anima umana e le sue peculiari manifestazioni nella vita culturale di una razza. Nell’intervista concessa a Weizsächer [Viktor von Weizsächer, antropologo tedesco, pioniere della medicina psicosomatica; n.d.r.] Jung dichiarò che ‘ogni movimento trova il proprio organico compimento in un leader’. Il resto dell’Europa non capiva la Germania perché non si trovava nella stessa situazione, né aveva fatto le stesse esperienze storiche e psicologiche. Jung approvò inoltre l’idea, frequentemente espressa da Hitler, che ogni individuo dovrebbe avere il coraggio di andare per la propria strada”.
Nel giugno 1933 Jung espresse il proprio appoggio a Hans von Hattingberg, psicoterapeuta viennese esponente nazionalsocialista dell’Istituto tedesco di ricerca psicologica e psicoterapia di Berlino, al quale manifestò il suo apprezzamento per ciò che si stava affacciando in Germania e per il Regime italiano.
Von Hattingberg era uno degli psicoterapeuti tedeschi – decisamente junghiani – che stimavano Jung come colui che aveva offerto loro nuovi strumenti di analisi attraverso miti e religioni per la comprensione dell’anima umana.
Il suo contributo a cercare di identificare gli aspetti psicologici di massa della nuova Germania Jung lo scrisse nel 1936 pubblicando il suo saggio su Wotan, ricercando nella mitologia le componenti arcaiche, archetipiche della psiche collettiva e in esso mettendo in luce chiaramente l’aspetto (archetipico) di “furor Teutonicus” che rilevava in Wotan e di conseguenza considerandolo presente nell’inconscio collettivo germanico.
Fu il teorico marxista Ernst Bloch a definire collettivamente come “criptofascisti” il filosofo Ludwig Klages, lo storico dell’arte e studioso della mentalità Hans Prinzhorn e Carl Gustav Jung.
Nel 1939 Matthias Heinrich Göring propose alla Ahnenerbe (la Società per la ricerca dell’eredità ancestrale), il Centro studi delle SS, un progetto di ricerca intitolato “Wald und Baum in Traum” (Foreste e alberi nel sogno), proposta che traeva origine dalle riflessioni di Carl Gustav Jung a proposito del fatto che “nei sogni che provengono dall’inconscio collettivo le foreste e gli alberi hanno spesso una parte così importante”.
Del resto l’Ahnenerbe in precedenza aveva già patrocinato una spedizione di studio in Nigeria addirittura di un….. freudiano, l’etnologo nazista Eckart von Sydow, docente di Filosofia nell’Università di Berlino
Le strade tra Jung e la parte ufficiale della scienza della psicoterapia tedesca si divisero definitivamente nel 1940 quando il padre della teoria dell’archetipo sponsorizzò il lavoro di una sua allieva ebrea, Jolande Jacobi (“Die Psychologie von C. G. Jung”). Il regime nazionalsocialista lo considerò un atto ostile e prese le distanze da Jung, ricambiato d’ugual moneta perché anche Jung colse l’occasione per recidere un rapporto che era diventato imbarazzante alla luce delle leggi antisemite applicate nel Reich.
Varie testimonianze sostengono che Jung durante la Seconda guerra mondiale temette l’invasione della Svizzera da parte della Germania.
Ciò che rimase in piedi fino alla fine fu il contrasto profondo e radicato tra Freud e Jung datato già dai primi del ‘900, diventato accusa di apostasia da parte di Freud nei confronti di Jung e Adler nel 1914, alla vigilia dello scoppio della Prima guerra mondiale.
Spaccatura che, nel caso di Jung, non fu solo contrasto scientifico e umano, a quei tempi era anche tra “ebreo” e “gentile”.
Ciò non ebbe alcuna influenza per Jung sui suoi rapporti con i colleghi ebrei che aiutò in ogni modo nei limiti delle sue possibilità durante gli anni delle persecuzioni.
Nel 1947, quando il filosofo e studioso della Cabbala Gershom Scholem, ricevette l’invito a partecipare agli incontri di Eranos (ad Ascona), chiaramente partito da Jung; si pose il problema se andare o no proprio a causa della fama di filo-nazista che Jung ancora si portava dietro. Si consultò a Gerusalemme con il rabbino Leo Baeck che era stato a capo del Judenrat (il Consiglio degli Anziani) a Berlino fino al 1943 e poi concentrato a Theresienstadt fino al termine della guerra, il quale aveva avuto un chiarimento di riconciliazione con Jung e gli manifestò il suo gradimento e consenso alla partecipazione al convegno.
Negli ultimi anni della sua vita Jung andò approfondendo lo studio dell’ebraismo traendone molte conferme delle sue tesi.
Si ritirò nella sua proprietà nei pressi sul lago di Zurigo, la famosa “torre di Bollingen”, un edificio che aveva iniziato ad edificare nel 1923 e nel quale si stabilì definitivamente dopo la morte della moglie (nel 1955), immergendosi nei suoi studi e nelle sue riflessioni nel silenzio della Torre senza elettricità immersa nel verde. (dal gruppo Effemeridi del giorno)