Il 2 giugno del 1946 mio padre e mia madre avevano 28 anni. Non si conoscevano ancora e vivevano in due città diverse. Erano, come tutti i loro coetanei di umili origini, cresciuti con il Re e il Duce, con la Monarchia e il Fascismo. Se li erano trovati lì, non c’era altro. Non sapevano di democrazia, elezioni, libertà. Per cui il 2 giugno (o forse il 3, i seggi erano aperti due giorni) andarono a votare con quello che sapevano, con quello che conoscevano, con quella che era la realtà di persone semplici. Vinse la Repubblica, come è noto e come festeggiamo ogni 2 giugno. Non tanti a pochi, però: il risultato finale vide prevalere la Repubblica con 12.717.923 consensi (54,3%) contro 10.719.284 (45,7%) favorevoli alla Monarchia. Tra questi anche i miei genitori. Appena sbarcai nell’età della passione e dell’interesse, chiesi ai miei per chi avessero votato nel 1946. E mi rivelarono, senza alcuna vergogna, di aver votato entrambi per il Re. Pretesi una spiegazione, che in realtà avrei dovuto conoscere. Per quello che dicevo prima. I miei genitori avevano la quinta elementare, erano persone semplici e realiste. La realtà, per loro, era la Monarchia, la Repubblica era qualcosa di sconosciuto. Non era una spinta ideologica la loro, infatti nel resto della loro vita mai più pensarono al Re di maggio o venerarono reliquie dei Savoia, come tanti altri che votarono come loro quel giorno. Mio padre credo che abbia sempre votato PCI, mentre mia madre credo che abbia scelto la DC. Mio padre non arrivò nella Seconda Repubblica, mia madre sì e fu ferocemente anti-berlusconiana. Nel 2000 un mio vecchio e caro amico si presentava con Forza Italia alle Regionali in Liguria. Glielo segnalai. Lei lo conosceva bene, eravamo stati compagni di liceo. Gli stava simpatico, ma mi disse: “Se sta con Berlusconi, mai”.
Perché ho raccontato questo spaccato della mia famiglia? Per rassicurarvi. Oggi ho risalito la penisola in auto e ho ascoltato molto la radio. Tra gli intervistati che nel 1946 avevano votato, non ce n’era uno che confessasse di essere stato monarchico, anche solo per quella volta. Sembrava che il risultato fosse stato 100 a zero. Invece il Paese si divise praticamente a metà. Allora mi sono detto che, per non far credere alle ultime generazioni che si trattò di un referendum farsa, bensì di una battaglia democratica – la prima di questa nostra nazione che tendeva alla modernità – all’ultimo voto (con immancabili e feroci accuse di brogli), era giusta una testimonianza anche della parte avversa. Qualcuno doveva spiegare perché tante persone perbene votarono per il Re.
Sono figlio di due monarchici (per un giorno).
(da Perrisbite.it)