Un articolo di Enrico Ruggeri, cantante e intellettuale anticonformista
Quelli della mia generazione D’Annunzio non potevano certo conoscerlo a scuola: i banchi di un liceo come il mio, il Berchet di Milano, erano testimoni di altri indottrinamenti…
I professori, approssimativi come preparazione ma con le idee molto chiare sui fini da perseguire, seguivano un programma ben preciso, quello di creare una generazione di giornalisti, magistrati, uomini di potere che instaurassero negli anni a venire una dittatura culturale che avrebbe dato i suoi frutti. E allora ecco che da Hegel si volava verso Marx, saltando Nietzsche e Schopenhauer, mentre nella letteratura italiana, sfiorati appena Svevo e Pirandello, si passava direttamente dal Verga alle lettere di Gramsci, parte centrale della mia terza liceo classico. D’Annunzio non esisteva, non veniva preso in considerazione… Eppure stiamo parlando di un gigante, tra l’altro non certo allineato politicamente: nel 1897, parlamentare per un breve periodo, annuncia il suo passaggio da destra a sinistra per protestare contro la sanguinosa repressione di Bava Beccaris a Milano. Nell’esperienza di Fiume è proprio lui a redigere un progetto di Costituzione che contempla pensioni di invalidità, suffragio universale, libertà di culto, di opinione e di sessualità, pensando a una libera enclave del pensiero che solo le baionette di Giolitti riuscirono a fermare! E fu sempre D’Annunzio a mettere in guardia Mussolini da Hitler, che definì il «pagliaccio feroce»! E allora perché il Divino Vate faceva così paura? Era solo ignoranza? Forse.
Ma è evidente che una cultura orientata verso una assistenzialistica e generica difesa delle mediocrità non poteva tollerare un uomo che aveva fatto di sé, della propria vita e della propria persona un’opera d’arte.
Fui salvato dalla mia famiglia, madre e zie che, con un neologismo che a lui piacerebbe, erano delle vere e proprie «d’annunziologhe», che d’estate mi portavano in villeggiatura all’hotel Primo Vere (il titolo della sua prima raccolta di poesie), a Pescara, per poter assistere alle rappresentazioni delle sue opere…
Poi cresci, leggi, e scopri un mondo complesso, travagliato, esaltante, nel quale vita, opere, azioni, atteggiamenti, si fondono in un unico progetto artistico inimitabile. Fino a quando arrivi al Vittoriale, il suo ultimo regno, il suo esilio dorato che il fascismo gli aveva tributato e concesso, con budget illimitato purché non mettesse ulteriormente in imbarazzo il regime con la sua scorrettezza politica di uomo libero.
Cominci a girare nella penombra di quelle stanze, ti vengono i brividi e ti immergi in un mondo nel quale ogni soprammobile, ogni oggetto, ogni dipinto, ogni statua hanno un motivo preciso e fanno parte della più bella installazione che mai uomo abbia concepito. Una vita unica e meravigliosa che quella reggia descrive, spiega e sottolinea. Quando ti trovi di fronte all’aereo del volo su Vienna sei ormai in suo potere: quell’impresa devi raccontarla, devi riuscire a trovare le parole per celebrare quell’assurda follia, il gesto futurista di chi ha rischiato la vita solo per spiegare ai viennesi l’assurdità di una guerra di aggressione frutto di una mentalità ottocentesca superata dalla storia. Devi provare ad immaginare le sensazioni di chi, a bordo di un trabiccolo di legno e stoffa, compie un pacifico e beffardo atto, militarmente insignificante e proprio per questo ancora più esaltante! Poi, quando la canzone è pronta e decidi di farne un video capisci che devi tornare al Vittoriale, da dove tutto è partito e devi girare le immagini proprio in quelle stanze, dove la presenza del Poeta è ancora palpabile, al punto che ti sembra possa apparire da un momento all’altro, esaltato da una conquista o solitario e chiuso nell’attesa dell’ultimo viaggio. Parte la musica e canti a voce piena, anche se potresti solo fingere di emettere suoni curando il labiale, e pensi alle sue parole… «L’arte si presenta come strumento di una nuova aristocrazia, suprema affermazione dell’individuo»… e ti dimentichi delle orrende canzoni che ti capita di ascoltare, microcosmi raccontati da poveri di spirito, analfabeti funzionali ossessionati dalla paura di non piacere al «grande pubblico» che di grande ha solo i numeri e niente altro.
Ti senti parte di una minoranza e, rinfrancato dalle parole del Poeta, continui a correre dietro ai tuoi sogni. (da Il Giornale)