Comincia da Maradona, Ernesto Pagano, regista prima del documentario “Napolislam” e ora scrittore del libro omonimo (edito da Centauria), per arrivare ad Allah, con la storia di Ciro Capone Muhammad che inseguiva un idolo, ed ha trovato Dio. Era entrato in libreria col carico comune alla sua generazione, documentarsi su El Diego e invece ha trovato il Corano, era entrato da peccatore ne è uscito da redento, fino, poi, a volare da Napoli alla Mecca, “tornando” – come tanti altri – a una delle tre grandi fedi monoteiste del Mediterraneo.
Ciro vuole andare in Siria per imparare l’arabo e per trovare moglie. “Perché la moglie, come si dice, è metà della religione. «Può essere araba, pakistana o indiana, non mi interessa, basta che sia musulmana»” e vorrebbe persino aprire una pizzeria a Damasco. Oggi i lavori di Pagano fanno scalpore – del suo documentario si è parlato a lungo e molto si parlerà di questo libro che è la sua estensione su carta, con aggiunte e riflessioni – perché l’Europa per troppo tempo ha finto che l’Islam non le appartenesse, e dei legami avuti in passato ha conservato solo il sentimento della paura. Ma ora, per i molti capaci di andare oltre, l’Islam è divenuto speranza, possibilità, con un messaggio elementare e potente, quasi una nuova ideologia del sottoproletariato, fortissima e vasta che contiene la sopportazione e la sofferenza, e che ha radici profonde che riemergono come verità ritrovate.
Per questo Pagano racconta anche di sé, di come fu il regime fascista a riprendere gli studi sull’Oriente, e di suo zio Franco che aveva studiato la lingua del profeta, anni prima della sua iscrizione alla facoltà di Studi islamici dell’Università “L’Orientale” di Napoli. E infatti al Cairo descrive una sensazione che ho provato anche io quando ero laggiù, l’abbandono in funzione dell’accoglienza e soprattutto la presenza di Dio, diverso e lontano per noi occidentali, fatto più di gesti e poesia da cogliere, di luce e spazio da conquistare. Pagano passa dalla viceguida dei Fratelli Musulmani, Muhammad Habib, che stuzzica sulla laicità turca, alle persone normali che incontra per la città egiziana interrogate sulla sharia, cercando un equilibrio tra le interpretazioni del Corano, le conduzioni dell’Islam, e la sua rispettosa laicità mentre racconta il prima e dopo Egitto di Mubarak. Poi torna a Napoli e mostra un mucchio di storie come quella di Salvatore che deluso dai disoccupati organizzati ritrova un orizzonte nell’Islam. E, quello che colpisce, è che questi uomini e queste donne acquisiscono un pudore, un lessico, una forza: enormi. Che Pagano ci fa sentire quando entra nella moschea di via Arnaldo Lucci a poca distanza dalla stazione ferroviaria napoletana, dove incontra Dino Muhammad, parrucchiere, che ha convinto sua moglie a convertirsi all’Islam facendole leggere la Bibbia. «Se si facesse un califfato a Napoli, si vivrebbe sicuramente meglio». I dati comuni, che colpiscono, sono la scarsa conoscenza della propria religione di nascita – il cattolicesimo –, e poi come queste persone incontrando Allah riescano a smarcarsi dal consumismo, quasi che servisse un libro del passato per capire l’assurdità del presente.
Un presente che Agostino Yassin, guida spirituale della moschea di piazza Mercato, che ha dovuto lavorare non poco per liberarsi dalla reputazione di covo dei terroristi, e ora immagina una rete di moschee campane. Che si intrecci con naturalezza, la stessa che ha attraversato Alessandra, diventata Amina, quando ha sentito il richiamo del profeta che dal tappeto del suo compagno Walid l’ha portata a pronunciare «la shahada, che vuol dire testimonianza. Devi dire che non c’è altro Dio che Dio e che Muhammad è il profeta di Dio». E dalla shahada non è tornata indietro Claudia Zeynab, neanche dopo il divorzio come pensava la sua famiglia, «ma io il velo me lo sentivo da dentro» e poi aveva scelto il nome della primogenita del Profeta. «Ma sta sempre in mezzo, stu’ Profeta?». Pare proprio di sì, perché sembra rispondere alla domanda che molti si pongono: in che direzione devo andare?
Pagano, proprio come nel film, riesce a rendere queste sicurezze acquisite o ritrovate con l’Islam, e anche questa accondiscendenza della città, la possibilità lasciata a tutti, a Napoli puoi essere quello che vuoi, come vuoi, e più che nuova integrazione è vecchia abitudine alla diversità, al massimo sarai passato per il filo dell’ironia, o per quello del gol; è la forza della città, istintiva, che spesso viene dimenticata da chi la governa, non da chi la canta come Nino D’Angelo: «Ce vo’ Dio, ce vo’ Allah, ce vo’ tantu ben pe c’ama’».