Negli ultimi anni, nell’ambito della scienza politica, si è riacceso il dibattito intorno alla crisi della democrazia. Sul tema sono stati pubblicati un profluvio di libri che hanno analizzato il problema da punti di vista diversi. Sono state, inoltre, proposte soluzioni politiche disparate. Il dibattito non ha avuto e non ha interesse esclusivamente accademico ed intellettuale, ma è seguito con viva partecipazione da un numero crescente di persone: la crisi della rappresentatività democratica si è trasformata nella sottrazione della sovranità politica ai popoli che, in tale sistema, dovrebbero essere i reali detentori del potere. L’attuale momento storico è stato definito dal politologo francese Guy Hermet, inverno della democrazia: le ombre del Nuovo Regime, la governance transnazionale finanziaria, si stanno stendendo sull’intero mondo occidentale, limitando gli spazi di libertà. A farci riflettere su quanto sta avvenendo e a proporre fattive soluzioni contribuisce la nuova edizione di un volume di Alain de Benoist. Ci riferiamo a Democrazia, il problema da poco pubblicato nella collana “i libri del Borghese” da Pagine editore, a cura di Giovanni Sessa (per ordini: 06/45468600, euro 17,00).
Il volume, uscito in Francia nel 1982, è stato tradotto in Italia in prima edizione nel 1985 e rappresenta un momento significativo del percorso articolato e complesso del filosofo transalpino, caratterizzato, fin dagli esordi, da una certezza irrinunciabile: la critica radicale del liberalismo. Con Democrazia, il problema, de Benoist ha meritoriamente svolto una funzione sismografica e diagnostica, anticipando la profondità della crisi che viviamo, sia sotto il profilo politico che antropologico. La cosa è rilevante in quanto, anche tra gli intellettuali più accorti e sensibili degli anni Ottanta, pochi ebbero contezza che gli assetti istituzionali costruiti in Europa alla fine del Secondo conflitto mondiale, stavano per essere messi in discussione. Come ricorda nel saggio introduttivo Sessa, la crisi della democrazia rappresentativa liberale, si accompagna alla più generale crisi del progetto moderno, storicamente incarnatosi nella volontà totalizzante della ratio illuminista e negli apparti della tecno-scienza. La Dea ragione avrebbe dovuto consentire, se utilizzata con metodo, di liberare l’umanità dall’arbitrio generalizzato e dal senso preminente di insecuritas nel quale, fino ad allora, aveva vissuto. Nacque così la modernità solida, la cui essenza è descritta da Daniel Bell quale “…consapevole volontà dell’uomo di distruggere il proprio passato e controllare il proprio futuro”. Visione del mondo anti-tradizionale e produttivista, mirata ad evitare lo sprofondare definitivo nel caos, nella quale si palesava come fine ultimo implicito in essa, l’instaurazione dello svago generalizzato, della società gaia che si è realizzata nella liquidità post-moderna. Essa ci ha reso, sia in termini spirituali che esistenziali, gli abitatori di una crisi che appare invalicabile. Sono andate perdute le tutele sociali, conquistate nella fase fordista dello sviluppo capitalistico, lo spazio dei flussi si è trasformato nel regno della insicurezza generalizzata e del precariato universale.
Gli stati nazionali non esercitano più alcun potere effettivo, i governi sono trasformati in esecutori docili e passivi di prospettive politiche mirate alla definitiva liberalizzazione dei mercati. Assistiamo al trionfo del pensiero Unico e di un dolce totalitarismo senza Stato. La gabbia di ferro weberiana produce apatia e disinteresse per la politica. Come uscire da tale situazione? De Benoist si fa, in queste pagine, latore di una concezione aperta della storia rigettando ogni visione deterministica degli eventi umani, e fa comprendere ai lettori che quello in cui viviamo, non è né l’ultimo né il migliore dei mondi. Sprona all’azione politica e alla partecipazione responsabile alla cosa pubblica. Non è, infatti, la democrazia in senso proprio ad essere in crisi, ma la democrazia liberale, le cui élites si sono imposte epidemicamente, in senso greco, cioè “sopra e a discapito” dei popoli, come nel secondo dopoguerra rilevò l’appartato filosofo Andrea Emo. I popoli devono, suggerisce de Benoist, recuperare la propria memoria storica per acquisire agibilità politica. Sarà necessario, in tale prospettiva, richiamare il senso effettivo che il termine democrazia assunse in Grecia: esso indicava la comunità dei cittadini, la comunità di popolo radunata nell’ecclesia. In Atene, demos e ethos coincidevano: la democrazia veniva concepita in riferimento alla polis, alla comunità organizzata: “Definito dalle proprie appartenenze, il cittadino si oppone all’idiotes, il non cittadino…Essere cittadino significa appartenere a pieno titolo ad una patria, cioè nel contempo ad una terra e ad un passato” . Il termine libertà non era il risultato di un percorso mirato a svincolare da qualcosa, ma indicava un’appartenenza, la quale sola conferiva libertà. La libertà giustificava il legame connettivo tra la persona e la Città, si trattava di libertà-partecipazione che determinava la sintonia della legge con il “Genio” della Città stessa. Per questo, l’egual diritto di essere presenti alle Assemblee non sanciva l’uguaglianza tra gli uomini, ma soltanto la loro identica appartenenza alla polis. In ciò, il tratto eminentemente olista della democrazia antica. L’impasse attuale non ha nulla a che fare con la realtà originaria di tale sistema di governo, ciò che è in crisi è la democrazia liberale, con il suo correlato individualista di ascendenza cristiana. Ad essa va contrapposto il modello classico di democrazia.
Sarà indispensabile individuare procedure qualitative e non meramente quantitative di consenso e riattivare la partecipazione dal basso, attraverso i corpi intermedi e professionali, le associazioni municipali, le assemblee regionali, valorizzare il vissuto, il locale e territoriale, ma con occhio attento anche alla dimensione sovranazionale, imperiale, ricorda de Benoist. Strumenti essenziali potrebbero rivelarsi sia ampie autonomie locali, quanto l’uso sagace dell’istituto referendario propositivo. In una parola: va sancita la priorità della partecipazione rispetto alla delega e alla rappresentanza. Appartenenza, cittadinanza, partecipazione sono i caratteri di fondo della democrazia organica e comunitaria. Alain de Benoist, ricorda una frase di Moeller van der Buck per il quale la democrazia era “…la partecipazione di un popolo al proprio destino”. Il filosofo, per questo, nella prefazione alla nuova edizione, sostiene che l’ascesa politica dei movimenti “populisti” potrebbe svolgere un ruolo rilevante per uscire dallo stato attuale delle cose. Il libro lancia un appello accorato all’Europa perché ritrovi se stessa.