L’Interzona di Verona non è propriamente un locale d’intrattenimento. Entro l’area di un edificio industriale degli anni quaranta che si articola su più sale per un totale di 1.500 metri quadrati, ristrutturato per ospitare le attività promosse dall’associazione omonima, l’atmosfera è di grigio spleen berlinese. Maggio, echi da sagra popolare (La macarena, i Village People, tamarrate disco per trenini umani), dall’isolato dopo, decontestualizzano il giusto, lasciando attonito il pubblico nerovestito in coda fuori. Tutt’attorno, nel quartiere, sorgono cantieri dalle alte impalcature, conferendo a questa zona semiperiferica la poetica laterizia della trasformazione eurocentrica, come in un eterno dopoguerra fatto di demolizioni e ricostruzioni. Il luogo perfetto, insomma, per ospitare il concerto di Teho Teardo e Blixa Bargeld, nel capoluogo scaligero, per presentare dal vivo il nuovo disco a quattro mani intitolato Nerissimo. All’interno, l’Interzona non tradisce le aspettative post-produttive dell’edificio, con lacerti teatrali ed archeologia cinematografica disseminati negli ampi spazi: drappi neri e rossi, vecchi proiettori, file di sedie in legno numerate, fanno degli stanzoni la sede più consona per suggestioni da dopolavoro DDR. Sul retro, oltre la rete metallica, si apre uno scorcio di nulla urbano al quale pone termine la squadrata scritta “Magazzini generali”. Opifici ed abbandono, verrebbe da dire abbinando destini vacui se non vi fossero gli occupanti.
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Berlino, Germania, che con Verona hanno sempre avuto uno storico legame: dal processo che diede ragioni vendicative alla Repubblica Sociale Italiana ripristinando così l’Asse, ad Hans Peter Briegel, il panzer dello scudetto gialloblù, passando per il turismo teutonico di massa, nel vicino lago di Garda. Rapporti privilegiati, che questa notte trovano però forma e contenuto in un contesto estetico decisamente brechtiano, o da Ballet mécanique. D’altronde Blixa Bargled, fondatore dei seminali Einturzende Neubauten (nuovi edifici che crollano), inaugurò la sua lunga carriera artistica negli anni ’80 nella città del muro, portando sui palchi dei teatri tedeschi – e venendone bandito per vandalismo sonico – martelli pneumatici ed altre attrezzature da cantiere. Erano gli albori della musica industrial e della Neue Deutsche Welle, laddove il rumore brutalista del lavoro veniva integrato in un impianto sintetico e futuribile, da apocalissi imbullonata. Accanto a lui Teho Teardo, ora compositore di grande successo (sue le colonne sonore de Il Divo e L’amico di famiglia di Sorrentino, Quo vadis, baby? Di Salvatores, Diaz di Vicari, fra le altre), ma con un substrato culturale saldamente conficcato nello storico underground di Pordenone (Great Complotto).
La collaborazione tra i due, inaugurata nel 2013 con il capolavoro Still smiling, si è caratterizzata da subito per la forma ricercata ma non astrusa: ampio utilizzo d’archi come in un elegante boudoir neoclassico, senza mai scadere nella stucchevolezza, proprio grazie all’ibridazione con geometrie (post) punk – il basso pulsante di Teardo, la voce affilata di Bargeld – e funzionali baloccamenti sperimentali. Le copertine dei dischi riprendono bene i contenuti, evidenziandone l’attitudine patafisica ed ombrosa. L’aria cinematografica, come in una wunderkammer dove agli oggetti sono stati sostituiti i suoni, dona al progetto una persistente inflessione onirica. Lo spettacolo dal vivo, poi, caratterizzato da fioche luci giallastre e dall’intolleranza verso i petulanti maneggiamenti di cellulari, rafforza l’impressione, consegnando al pubblico la viva sensazione di assistere alla messa in scena della pura bellezza; di tutto quello che oggi, nella nostra epoca relativistica e schizofrenica, può dirsi tale, della bellezza possibile nel presente, quindi non scevra da contaminazioni disturbanti.
Mentre sul palco Teardo armeggia magicamente con il basso ed elettroniche varie, dietro gli orchestrali da lui diretti ricamano un prezioso tessuto impalpabile, retrò e manierista, imbastendo così un dialogo tra idiomi musicali di opposte polarità, in un colloquio emozionale di rara efficacia. Da par suo, Blixa Bargeld, elegantemente nerovestito e pressoché immobile, fa sfoggio di un italiano – frammisto a tedesco ed inglese – laminato e a tratti declamatorio, centrifugando le lingue in un affresco espressionista che trova vertiginosa perfezione in episodi quali Defenestrazioni, Mi scusi, Come up and see me, Nerissimo e Animelle. Ci si finisce dentro, nel senso che l’esecuzione dal vivo ha qui un potere ipnotico, catalizzante – qualcosa di lenitivo e sognante – che travalica pure le aspettative già bendisposte dell’ammiratore. L’integralismo “concreto” delle avanguardie s’ingentilisce con umori melanconici, il classicismo romantico si sposa con asperità nordiche e confidenze surrealiste, in una notturna ipotesi di quadratura del cerchio (magico).
@barbadilloit