Esce in queste ore il libro-biografia di Giorgio Ballario, “Vita spericolata di Albert Spiaggiari” per Idrovolante edizioni, nella collana diretta da Roberto Alfatti appetiti. Presentiamo il prezioso volume con un articolo-ritratto di Stenio Solinas
Spaggiari di nome faceva Albert, Bert per gli amici, e nel 1976 aveva fatto la rapina del secolo svuotando il caveau della Société Générale di Nizza. Dietro lo scasso che lo renderà famoso non c’era nessuna rivendicazione di tipo sociale e/o politico, non v’erano conti da saldare, torti da raddrizzare, ideali da perseguire. C’era che l’avventura è l’avventura, la noia il nostro peggiore nemico, lo scorrere monotono dei giorni una condanna, ovvero una morte a credito. «Non sono uno scassinatore. Sono un avventuriero. Non è la (…) stessa cosa. Fra questi due mestieri c’è la stessa differenza che passa tra fare la hostess e fare lo skipper». E infatti quella della Société Générale fu la sua unica rapina e nei dieci anni e poco più che gli resteranno da vivere, oltre a essere perennemente in fuga, cercherà di esorcizzare la noia nella scrittura, un motore d’avventura più importante dell’avventura in sé, perché non ha a che fare soltanto con l’azione, ma si nutre di fantasie, illusioni, bugie, sortilegi e verità.
La Francia ha sempre avuto un penchant per gli scrittori «irregolari», gaglioffi, ma santificati e/o redenti dall’arte. Da François Villon a Genet, passando per Gilles de Rais, Rimbaud e Papillon, l’elenco è robusto, e quando magari «l’angelo del male» non ce la fa a mettere su carta il proprio tormento c’è sempre qualche penna più o meno illustre a incaricarsi di raccontarne la storia. Albert Spaggiari rientra a pieno titolo in questa tradizione perché ha sempre fatto tutto da solo, i libri come le rapine, meglio, la rapina. Una soltanto, l’abbiamo già detto: però fruttò trenta milioni di euro di oggi, e lo slogan dell’istituto di credito preso di mira recitava: «Tutte le banche vi offrono delle cassette di sicurezza. Noi vi proponiamo Fort Knox». E insomma, una volta svuotato Fort Knox non c’è più niente da svuotare.
Les égouts du paradis, Le fogne del paradiso, è il titolo del libro che Albert consacrerà alla sua impresa, un noir secco e incalzante in cui il vero e il falso si mischiano, memoir e insieme romanzo. Curiosamente, non è il primo di quelli da lui scritti. A nemmeno un anno dallo scasso, e appena qualche mese dopo la sua altrettanto clamorosa quanto rocambolesca fuga dal Palazzo di giustizia dove lo stanno interrogando (si butta dalla finestra dell’ufficio del procuratore, rimbalza a terra dal tettuccio di una Renault, monta sulla moto di un complice che lo attende a motore acceso, scompare salutando con la mano e in seguito manda un biglietto di scuse e un indennizzo in contanti al proprietario della Renault danneggiata…), Laffont pubblica Faut pas rire avec le barbares, dove è in scena lo Spaggiari «soldato dimenticato» della guerra d’Indocina. Les égouts seguirà a ruota; nel 1983, Journal d’une truffe, la storia della sua vita, chiuderà il ciclo. Nel loro insieme costituiscono un corpus che varrebbe la pena presentare al lettore italiano. Solo la morte, avvenuta nel 1989, a 57 anni, impedì a Spaggiari di proseguire in quella che si era andata rivelando la sua vera natura: dietro al ragazzino turbolento e un po’ malavitoso degli inizi, poi al soldato di ventura senza onore né gloria, in ultimo al rapinatore in grande stile eternamente in fuga, c’era, né più né meno, uno scrittore.
Mentre scrivo mi accorgo di aver dato per scontate molte cose, e me ne scuso con chi legge. Il fatto è che, privilegi e/o fastidi dell’età, Spaggiari l’ho letto allora, quando non avevo ancora trent’anni e quel nome faceva «la une», come dicono i francesi, nelle prime pagine dei giornali, anche se per motivi extra-letterari. Fa parte dei ricordi della mia generazione, assieme, che so, a Vallanzasca, le Brigate rosse e gli «espropri proletari», per restare sul territorio italiano. La differenza, non secondaria, è che il colpo da lui messo a segno, «il colpo del secolo», appunto, era stato fatto «sans haine, sans violence et sans arme», come aveva lasciato scritto sul muro del caveau a mo’ di sberleffo… Un «ladro gentiluomo» insomma, e per di più politicamente scorretto: ex parà in Indocina, ex Oas ai tempi dell’Algeria francese, estrema destra, fascista in parole povere. Un «fascista gentiluomo» negli anni Settanta era una contraddizione in termini, divertente quanto appassionante… Così come divertente e appassionante sarà leggere le «trame nere» che intorno alla sua latitanza verranno tessute dalla stampa…
Anni dopo, da un altro «fascista gentiluomo», Tomaso Staiti di Cuddia, deputato dell’allora Movimento sociale italiano, venni a sapere qualcosa di più dello Spaggiari in carne e ossa. Si erano conosciuti in Brasile, dove il primo andava per lavoro e per piacere, e il secondo viveva sotto falso nome: avevano simpatizzato ed erano divenuti amici. Lo sottolineo soltanto per spiegare come quel nome abbia superato indenne nella mia memoria la fine del secolo in cui era nato. Quando, nel 2010, Eric Cantona, gran calciatore e uomo di spettacolo, se n’è uscito invitando i risparmiatori a «svuotare le banche» semplicemente ritirando i propri depositi, nello stile, ha precisato, «di Albert Spaggiari, senza sangue, senza violenza, senza armi», mi è venuto da ridere. Non ero il solo, a non avere dimenticato.
Bene, sempre per chi legge, ancora due cose. È appena uscita una biografia di Albert Spaggiari scritta da Giorgio Ballario. È esauriente e risponde a tutte le curiosità e a tutti gli interrogativi che una «vita spericolata» del genere si porta con sé. In autunno, per le edizioni Oak, uscirà invece Le fogne del paradiso (traduzione di Jacopo Ricciardi, con una postfazione di Tomaso Staiti). Nella nota introduttiva al volume, Carlos d’Ercole, avvocato e appassionato d’arte e di letteratura, già autore di una brillante biografia-intervista di Enzo Cucchi (Vita sconnessa di Enzo Cucchi, Quodlibet), dà conto del come e del perché si appassionò al libro e si accinse all’impresa di trovare un editore per il romanzo-verità di Albert Spaggiari. Missione compiuta, aggiunge, «senza odio, senza violenza, senza armi»… La leggenda continua. (da Il Giornale)