Sono i più coccolati, i più vezzeggiati, i più invocati, i più amati dai presidenti e dalle televisioni. Sono coloro che popolano gli stadi quando c’è la giornata dell’anno, a prezzo ribassato e obiettivo ambizioso a portata di mano. Sono gli occasionali di tutti gli stadi d’Italia.
Cavalcatori di ogni tigre, arrampicatori su qualunque carro di vittoria, cavalleria a rinforzo dei fucilatori di panchine traballanti, corte e malassortite, colorano e gremiscono tutti i settori, tutte le curve, tutti i distinti dello Stivale. Smascherarli è facile. In cinque mosse per cinque tipi di occasionale.
Il modaiolo.
Crede che nel decreto Maroni ci sia l’obbligo di vestire sportivo altrimenti non si passa al tornello. Per questo motivo, negli anni, ha sviluppato un codice d’abbigliamento peculiarissimo che si basa sulla soluzione a una sola domanda: ho trovato il tempo di procurarmi la maglia della squadra del cuore? Sì? La indosso, nuovissima (magari con numeri e nomi di panchinari, presa in offertissima al procuratore del terzino sinistro che non gioca da ottobre) e via di filato a tifare. Non ce l’ho fatta? Mi metto la tuta, magari quella della scuola calcio del figlio. O in alternativa, sfodero una maglia con colori più o meno compatibili. Esempio ì: una maglia del Liverpool va bene per tutto l’arco pallonaro che corre tra Carpi e Torino, Vicenza e Trapani, ognuna delle cinquanta sfumature di rosso, biancorosso, granata che c’è. Non ce l’avete del Liverpool? Basta sia di uno squadrone internazionale, neutrale e cominciate a parlare di Champions League e di scommesse.
Il nostalgico.
Aver disertato sistematicamente lo stadio per anni gioca brutti scherzi. E perciò, accade, che il tifoso non conosca manco chi siano i calciatori della sua squadra in campo. Poco male, si appara con i numeri o urlando a squarciagola il ruolo dello stesso che si intende bacchettare o lodare. Che le cose girino male o vadano bene nella partita dell’anno, l’occasionale – per supplire alla mancanza di notizie, informazioni e nozioni sul presente – inizia a rimuginare sul passato evocando spettri più o meno passati di clamorosi successi o di ingloriosi successi. Quando tutto affonda ci si affida alla scialuppa dei luoghi comuni del passato.
L’ipertecnologico.
Ha un rapporto morboso con lo smartphone. Lo riconosci, anche se in borghese, perché prende il telefono per fare i video al momento dell’ingresso in campo delle squadre. Non prima, quando in campo c’è poco e niente da vedere. No, il telefono lo usa durante la partita. Entrano i calciatori e clic!, poi si gira e fa le foto alla curva che pubblica sui social network, chiama mamma-papà-zia-compare d’anello- vicino di casa per vedere se lo stanno inquadrando in televisione. C’è poi l’occasionale ipertecnologico che ha portato al parossismo il concetto della radiolina. Ora, nessuno più ascolta con le cuffiette i risultati in tempo reale dal momento che ci si scaricano le app delle agenzie di scommesse. C’è quello che arriva a compulsare il risultato della partita che sta vedendo in tempo reale. Cioè, mentre il trequartista fa involare in contropiede il centravanti spilungone tu fai tic-tic col cellulare per sapere la percentuale di possesso palla e poi menartela con gli altri spettatori. Nel frattempo l’ala sinistra ha segnato sulla ribattuta e tu resti da solo a parlare del 47% di possesso nel tempo effettivo.
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Il casinista.
Se nessuno ti nota è come se fossi rimasto a casa. E dato che, su tutti, vuoi che ti guardino i parenti a casa ti presenti allo stadio senza maglia, a panza da fuori pure se è il 23 dicembre. In testa un cappello a sonagli, retaggio di una serata alcolica finita male in vacanza a Malta, in faccia i colori della squadra. Aggiunge talora alla sua mise un armamentario di trombette, bandierine e pezze fatte in casa al di là di ogni ragionevole gusto. Suona, sventola e canta. E chissenefrega. Urla, sbraita, smanaccia, cerca di chiamare gli altri al coro o all’applauso, sempre senza riuscirci. Più la partita si fa moscia, pallosa, più si esalta, più strilla, più impreca. Ritiene suo dovere far sapere a tutti di essere coinvolto. Gli può capitare di esultare sul gol avversario e che l’avventura finisca davvero in tv.
Quello che l’aveva detto lui.
Questo occasionale è cupo, rancoroso e spesso si confonde con lo spettatore di mezz’età che jastema a ogni passaggio pure se i suoi vincono tre a zero. Arriva allo stadio e comincia a parlare di serie positive e negative, fa raffronti con le stagioni del passato, sciorina i numeri delle dirette concorrenti, commenta con la perizia di un filologo le potenzialità della rosa. Non si sbilancia mai ma parla, parla, parla. Come un libro stampato. Per aprir bocca aspetta il 90esimo. Se è andata bene gioisce con tutti facendo finta di malcelare l’orgoglio di chi ha azzeccato una previsione contro tutto e tutti. Se è andata male si stringe nelle spalle, ripete tutte le informazioni che ha condiviso con gli altri per tutta la partita, ti guarda con gli occhi furbi e ti sussurra: e secondo te perché fino a mo’ io non ero venuto allo stadio?
@barbadilloit