A Orvieto, l’obiettivo è stato quello di analizzare il percorso e tracciare il nuovo orizzonte della destra italiana. Senza farsi sconti di responsabilità nè indulgere alla tentazione dell’autoassoluzione. Parola di Pasquale Viespoli, già vicepresidente del Senato e sottosegretario, che ha seguito i lavori dell’assemblea che si pone l’obiettivo di riaggregare la destra e rifondarne un pensiero politico coerente.
Si quali blocchi di partenza s’è posizionata la riunione di Orvieto?
C’è in questi giorni grande attenzione alla questione romana. Dipende molto dalla Meloni, da quello che vuole fare. Bisogna distinguere tra l’elezione del sindaco e il progetto politico. Se votassi a Roma, sceglierei Giorgia Meloni non perchè ne condivido il progetto politico ma perchè è il candidato più vicino all’area di destra o, comunque, il meno peggio tra i candidati al Campidoglio. anche quella parte che non condivide le scelte sarà andare verso la direzione della Meloni. Ma Storace è in campo con coraggio e tocca alla Meloni mostrare capacità di dialogo e inclusività. Per altro la candidatura della Meloni nasce anche in conseguenza della nostra iniziativa e dalla candidatura di Storace. Lei è scesa in campo, è evidente anche per tutelare il peso e la forza di Fratelli d’Italia in prospettiva politica elettorale.
Qual è l’approdo che l’assemblea s’è prefissata di raggiungere?
Il problema non è l’approdo a destra ma come ricostruire un’offerta politica da destra. Orvieto è un passaggio che è servito per affermare che bisogna occuparsi dell’Italia e non solo dell’Italicum. Il centrodestra non c’è più e non deve più esserci. Almeno, non così come è nato, in un contesto emergenziale nelle condizioni ambientali e politiche del vuoto posto da Tangentopoli. Le risposte emergenziali prima o poi scoppiano dimostrando tutti i loro limiti. Quel centrodestra non ha prodotto una sintesi culturale adeguata nè ha determinato, come evidenziato in assemblea, una “rivolta” riformatrice tale da stabilizzare bipolarismo politico, non c’è stata manco la riforma presidenzialista che pure era architrave di quel pensiero politico. E così oggi ti ritrovi col centrodestra rappresentato, alle elezioni, da persone che hanno storie squisitamente di centrosinistra, gente che s’è riposizionata non per cultura ma per occupare gli spazi rimasti vuoti. Perciò quella di Orvieto può rappresentare un’opportunità di ricostruzione dello schieramento.
Da qualcosa occorrerà ripartire.
Al centro devono ritornare, subito, le grandi questioni istituzionali e sociali. Vagliate a mezzo degli impianti valoriali importanti di cui è portatrice una cultura di destra. In assemblea, ho voluto ribadire che destra è tradizione e modernità. Tradizione è sintesi culturale che sia in grado di affrontare la deriva nichilista dell’oggi, la questione valoriale rappresenta tutta la chiave di volta del dibattito. Alla fine il dato di fatto da cui dobbiamo partire è questo: la rivoluzione liberale annunciata nel ’94 da Berlusconi è finita con la candidatura di Clemente Mastella a sindaco di Benevento. Cose che magari ci faranno sorridere ma che sono spie di un fatto innegabile: del centrodestra non è rimasto più niente. E pure l’area di destra soffre di una certa mancanza di profondità e di proposta politica. Seppur presidiata, mediaticamente, dalla presenza di Giorgia Meloni. E questa è una contraddizione un po’ strana. E per tentare una risposta che si giustifica lo sforzo e il tentativo orvietano, quello di ridare un senso alle cose.
Gianfranco Fini sarà della partita?
Ieri è emerso, limpidamente, che anche con Fini bisogna fare i conti. Ne ha parlato Orsomarso, ne ha parlato anche Storace. Vero, ha delle responsabilità straordinarie sfido a trovare chi, in quella classe dirigente, non ne abbia. Sicchè eviterei di considerarlo un capro espiatorio. In una destra che si definisce aperta e plurale c’è spazio per tutti quelli che hanno idee. Sarebbe troppo comoda la scorciatoia di una rimozione. No, nessuna scorciatoia: bisogna farci i conti con quel periodo e contribuire, in maniera impersonale e disinteressatamente alla ricostruzione della destra per recuperare dignità a una storia comune. Ribadisco, con impersonalità attiva.
Al lavoro per un nuovo inizio della destra?
In una cultura tradizionale non si può parlare di nuovi inizi, meglio puntare l’attenzione su una ridefinizione identitaria a partire dalla destra. Non è cancellando le responsabilità che si può lavorare, in maniera seria e credibile, a rilanciare l’offerta politica. Ci sono le persone, in questo progetto, ma devono esserci prima di tutto le idee. Fare pensiero politico e fondare laboratori culturali ripartendo dal radicamento territoriale. E tessere rapporti ed elaborare nuove sintesi. Allo stato attuale, Forza Italia sembra non aver più nulla da dire nel senso di un centrodestra. Quindi è giusto aprirsi anche a un confronto con le forze che, a questa tradizione richiamandosi, hanno avuto il coraggio di rompere con Berlusconi. Penso a Raffaele Fitto, ad esempio,non fosse altro per il coraggio che ha dimostrato rompendo, da uomo di tradizione democristiana, con l’eterno disegno neocentrista e con la retorica della sezione italiana del Ppe. Altrimenti dobbiamo rassegnarci alle candidature in difesa per le bandiere dei partitini.
@barbadilloit