Renzo de Felice con la sua opera dedicata a Mussolini e con L’intervista sul fascismo è stato, nel nostro paese, l’antesignano della ricerca storica oggettiva, il primo ad interrogarsi sine ira e studio attorno alle ragioni del successo delle camicie nere. La sua opera fu accolta dagli accigliati storici dell’accademia italiana con malcelata irritazione e, in alcuni casi, rifiutata con arroganza preconcetta. Nonostante siano trascorsi decenni dagli anni Settanta, quelli in cui nelle strade i giovani combattevano la seconda drammatica fase della guerra civile, nulla, sotto il profilo del libero dibattito delle idee, sembra cambiato. Sta a dimostrarlo il silenzio della grande e “buona” stampa attorno all’opera di un docente controcorrente, Enrico Tiozzo. Ci riferiamo a Matteotti senza aureola. Vol. I: il politico, da poco edito da Aracne (per ordini: info@aracneeditrice.it 06/93781065, euro 22,00), che a nostro parere merita di essere discussa per i contenuti “forti” che presenta.
Di che si tratta? Del tentativo di demistificare, di togliere l’aureola, come recita il titolo del volume, ad un personaggio ritenuto dalla vulgata resistenzial-democratica, un vero e proprio Padre della Patria. Si tratta di Giacomo Matteotti, alla cui personalità Tiozzo, da anni docente di Letteratura italiana all’Università di Göteborg ed insignito di riconoscimenti internazionali per le sue ricerche, ha dedicato questa monografia. In realtà, in questo primo volume, lo studioso si occupa in primis della formazione, dello spessore culturale e dell’azione politica del deputato socialista fino al 1924, mentre nel secondo tomo verrà affrontata nello specifico la vexata quaestio del suo assassinio e delle cause che lo produssero. L’opera ha visto la luce per il sostegno del Centro europeo Giovanni Giolitti per lo studio dello Stato diretto dallo storico Aldo A. Mola, cui si deve l’organica prefazione mirata a contestualizzare il senso generale del lavoro e il suo valore intrinseco.
Le tesi essenziali dell’autore erano già state sinteticamente presentate dieci anni fa in un saggio comparso sulla rivista Belfagor e, per la loro novità, attirarono l’attenzione degli studiosi più attenti alla “questione” Matteotti, tra essi Dino Messina. Dalla lettura del libro si esce certi dell’esistenza di una caso Matteotti, uno dei nodi irrisolti della storiografia contemporanea. Tiozzo si pone lungo l’asse ermeneutico inaugurato da Gianpaolo Romanato, che per primo ha indagato le discusse fortune della famiglia del deputato socialista di Fratta Polesine, per fare chiarezza storica su di lui e sul suo tragico assassinio. L’autore, in particolare, si chiede se davvero Matteotti fu, come molti studiosi ancora ritengono, statista di rango, economista di vaglia e politico capace di rappresentare l’alternativa politica a Mussolini e al fascismo nascente. Possiamo anticipare che Tiozzo risponde negativamente a questi tre quesiti, destrutturando le certezze solari della storiografia ufficiale. Sono fin troppo note le circostanze nelle quali maturò il 10 giugno del 1924 l’omicidio Matteotti: assalito e rapito in pieno centro a Roma dalla squadra fascista detta “Ceka del Viminale”, riuscì a lanciare dal finestrino della vettura sulla quale era stato caricato a forza, la tessera di deputato. Il suo cadavere fu ritrovato due mesi dopo nella campagna romana. Gli esecutori furono arrestati poco dopo il delitto, ma l’omicidio divenne un caso politico che divise l’opposizione antifascista: socialisti, popolari, repubblicani e democratici di Amendola abbandonarono le attività parlamentari, mentre giolittiani, alcuni cattolici e deputati comunisti rimasero in Aula. Ciò permise al PNF di ricompattarsi dopo il pronunciamento dei Consoli della Milizia, che indussero Mussolini ad assumersi pubblicamente la responsabilità dell’accaduto.
Da quel momento l’assassinio di Matteotti venne interpretato quale pegno per conseguire il riscatto della democrazia dalla dittatura. Si cominciò a leggerlo in termini di “martirio” e nessun’altra esegesi fu più consentita. Seguì la scontata “certezza” che “Mussolini sia stato effettivamente il mandante dell’assassinio…un’assurdità che assegnerebbe la patente di imbecille a lui e a chi continuò a votarne il governo, come Benedetto Croce” (p. III). E non è necessario aggiungere che il Duce avrebbe dovuto eliminare il deputato socialista non solo perché questi ebbe il coraggio di denunciare i brogli e le violenze delle squadre d’azione, ma perché Matteotti avrebbe potuto essere, per le sue doti intellettuali e politiche, il perno “dell’alternativa parlamentare a Mussolini” (p. III). Ebbene, il libro che stiamo presentando smentisce tale univoca interpretazione, fondata su un’evidente rimozione del contesto storico. Tiozzo non solo ricorda il palese contrasto tra lo stile di vita alto borghese e le affermazioni di principio improntate al proletarismo di Matteotti, ma ne analizza gli interventi pubblici in qualità di Consigliere provinciale a Rovigo, tra il 1910 e il 1916, e quelli da deputato tra il 1919 e il 1924. Discorsi caratterizzati da una verve polemica non comune, ma nei quali è assente qualsiasi riferimento costruttivo, qualsiasi proposta politica concreta.
Le prese di posizione del deputato mostrano un Matteotti tutt’altro che pragmatico e riformista, ma animato da fervore estremistico, come quando urlò alla Camera contro la proposta di rendere nominativi i titoli al portatore “Noi vorremo portar via tutto…noi siamo dei socialisti, dei bolscevichi” (p. IV). Inoltre, dopo essere stato eletto trionfalmente nel Collegio di Rovigo, fu incapace di gestire il successo elettorale socialista, come mostrano i risultati che questi conseguirono nella tornata elettorale successiva in quella stessa zona, nella quale dimezzarono i loro voti. Del resto, due mesi prima del suo assassinio, Matteotti e il partito socialista unitario furono pugnalati alle spalle dagli elettori della provincia veneta, in quanto il loro consenso si ridusse ai minimi storici. Forse aveva colto nel segno Gramsci nel definire Matteotti “pellegrino del nulla”. Il suo retaggio culturale spiccava tra quello dei deputati socialisti di allora, pur essendo in sé poco rilevante, perché la maggior parte di loro era effettivamente proveniente dalle file del proletariato contadino o operaio, e non aveva avuto l’opportunità di acculturarsi in modo organico. I suoi scritti, puntualmente analizzati da Tiozzo, mostrano limiti evidenti nelle conoscenze economico-giuridiche, ed anche il suo libro più noto, Un anno di dominazione fascista, ha il tratto della ricostruzione affrettata, le cui fonti, peraltro, furono reperite da altri (per di più mal retribuiti).
Il deputato martirizzato non sarebbe stato in grado di unire le opposizioni, non ne aveva la levatura intellettuale: le illazioni avanzate sui mandanti dell’assassinio (Duce, Re, complotto massonico) dovranno essere riviste alla luce degli effettivi rapporti di forza del periodo. Il “revisionismo” storico di Tiozzo, si badi, non vuole sminuire la gravità del gesto omicida, ma rivendica, nel fare storia, il primato del dato obiettivo. Assieme a quello di Matteotti si cominci, allora, a ricordare l’assassinio del deputato fascista Armando Casalini, eliminato nello stesso 1924 al grido “Vendetta per Matteotti”.