Una comunità di militanti, artisti, musicisti, ora tanti studiosi di geopolitica, ma soprattutto, negli ultimi mesi, di romanzieri. Del florilegio di libri scritti da autori dell’area non conforme abbiamo discusso con Marcello De Angelis, giornalista, già direttore del Secolo d’Italia, ma soprattutto fondatore del mensile “Area”, nonché animatore del progetto musicale identitario dei 270 bis. Dopo l’evoluzione politicista degli anni novanta, sembra di assistere ad un ritorno alla metapolitica come per i Wandervogel di inizio novecento…
De Angelis, da “Doromizu” di Mario Vattani al suo “C’è un cadavere nel mio champagne”. I banchi delle librerie sono invasi da romanzi di autori non allineati. E questo il nuovo trend?
Mi spieghi meglio la sua domanda. Cosa vuole insinuare…
Lei e Mario Vattani esplorate sentieri impervi. Prima musicisti con i 270 bis e i SfS, poi pittori. Qualche viaggio all’estero per svariati motivi. Poi l’impegno istituzionale. Lei senatore, Vattani diplomatico. Sempre con uno sguardo attento alla politica estera… Adesso la scrittura..
Sì, sì. Bella storia. Ma non siamo soli. In realtà sono sulla nostra stessa lunghezza d’onda altri validissimi amici che si sono lanciati nella scrittura di romanzi negli ultimi tempi: Camillo Scoini, Gabriele Marconi… E persino Pierluca Pucci Poppi…
Non dimentichiamo Angelo Mellone con “Nessuna croce manca”. Marconi ha scritto già molti romanzi, mentre gli altri citati provengono da altri percorsi
Partiamo dalle affinità con Vattani. Un po’ ci siamo sempre sovrapposti (anche in ambiti personali in realtà) ma non è mai stata una competizione. D’altronde lui ha pubblicato con Mondadori, io con una casa editrice giovanissima e promettente. La contemporaneità è stata – so che è difficile crederlo – assolutamente casuale.
Eppure resta un dubbio: nel momento in cui una intera area politico-culturale naviga a vista, perché si registra a produzione di romanzi e non di saggi?
Una premessa: anche se io e Vattani sembra che abbiamo fatto sempre le stesse cose – e lui solitamente meglio di me – c’è qualcosa di importante che io ho fatto e che significa qualcosa per tutti: la rivista comunitaria Area…
Giusto. Senza Area nessuno di noi sarebbe quello che è. Ci hanno scritto tutti (anche l’intervistatore…) e per molti – Mellone, Roberto Appetiti Alfatti, Alessandro Giuli e tanti altri – è stata una vera e propria palestra di idee e giornalismo.
Ma tutto ha un senso: dopo Fiuggi tutto poteva andare in vacca, mezzo secolo di storia sarebbe andato perduto se avessimo accettato la logica utilitaria di chi, dovendo fare solo carriera, buttava il bambino con l’acqua sporca e si riciclava…
E lui apriamo la caccia ai colpevoli. A chi si riferisce, De Angelis?
Devo fare i nomi? Ma su, di tutti – dico tutti – quelli che grazie al ripudio si sono aperti la strada ad una brillate quanto inutile carriera personale… E non alludo solo ai politici. Noi, tanti, da Giano Accame e Gianfranco de Turris al più giovane dei praticanti ci siamo posti il problema di non abbandonare nessuno per strada e accompagnare tutti per mano nella traversata nel deserto che ci portava all’inevitabile futuro. E se per qualcuno servivano le analisi politiche, per altri andavano meglio le canzoni, le vignette, una grafica innovativa…
Quindi lei ci dice che chi ha assunto incarichi istituzionali, o ha fatto il ministro, non ha fatto abbastanza per dare sostegno a cultura, arte, musica e… giornalismo?
Bhé, non so se lo avrei detto così, ma non suona poi tanto male.
E ora, allora, perché scrivete romanzi – lei, Vattani, Scoini – polizieschi tra l’altro, con ricette bretoni o giapponesi? A chi vi rivolgete?
A tutti credo. Agli stessi ai quali parlavamo con le canzoni, con la grafica, con i saggi politici o le riviste. Ai “nostri”. Quelli che abbiamo cercato di rappresentare quando eravamo nelle istituzioni. Sempre la solita “famiglia allargata”.
Famiglia è una parola impegnativa. Qualcuno ha responsabilità di questa desertificazione…
Forse sarebbe arrivato il momento di fare i nomi dei responsabili. Non che la storia si possa cambiare. Ma se qualcuno ha occupato i posti dai quali poteva cambiare le cose e poi ha pensato solo a sé o è finito, per restare a galla, a cambiare dieci partiti, venti padrini e centinaia di amici e amanti… Forse sarebbe venuto il momento di scoprire gli altarini.
Torniamo ai romanzi da cui siamo partiti.
I romanzi sono sempre uno strumento per dire altro. I nostri romanzi sono sicuramente indispensabili per dire chi siamo noi, cosa ci manca, cosa ci piace… Che poi non sono cose da poco, riguardano la nostra identità. Se in un romanzo si parla di amicizia, famiglia, tradizioni non è casuale…Credo che, come al solito, stiamo cercando di tenere in vita dei valori. Nella maniera più naturale, comprensibile e condivisibile. Cioè normale… Non è poi così male essere normale. Anche se da metà della nostra vita mettiamo a rischio la vita per avere il diritto di esserlo…