Il vademecum di Franco Cardini per orientarsi nella comunità islamica tra sciiti e sunniti
Vanno anzitutto richiamati, nell’interesse della chiarezza di queste brevi note, alcuni dati fondamentali. La comunità dei fedeli musulmani, l’umma, si è andata dividendo dal VII secolo in poi in tre fondamentali confessioni, a loro volta distinte in scuole e in sette. La maggioranza dei musulmani, pari a circa l’85% dei credenti, si dichiara “sunnita”: si riconosce cioè nella sunna, la “tradizione”, i cui strumenti canonici sono il Corano – il “Santo Libro” contenente la Parola di Dio: increato e coesistente con Lui – e le migliaia di hadith, cioè di “racconti” relativi ai dicta e ai facta del profeta Muhammad, raccolti da numerosi testimoni. Gli “sciiti” traggono invece la loro origine dalla shi’a, il “partito” di ‘Ali, genero e cugino di Muhammad – considerato imam infallibile e capostipite di una serie di imam a loro volta infallibili mediatori tra Dio e gli uomini –; essi riconoscono il Corano ma rifiutano l’autorità degli hadith e attendono la rivelazione dell’ultimo imam, quello nascosto (il mahdi), alla fine dei tempi. Dalla shi’a si separò all’indomani della battaglia di Siffin del 657 la fazione puritana dei kharig, i “separatisti armati”: secondo i “kharigiti” il ruolo di khalifa, “califfo”, capo spirituale della comunità dei credenti e vicario del profeta, va egalitariamente attribuita al migliore fra i credenti, qualunque sia la sua razza e il suo rango.
I sunniti si distinguono in quattro principali scuole giuridico-teologiche: i “malikiti”, forti soprattutto nel Maghreb; gli “shafi’iti”, localizzati nell’Africa orientale; gli “hanbaliti” nella penisola arabica; gli “hanafiti” tra Vicino Oriente e Asia centrale. Ma da un’antica scuola giuridica originariamente definita come “razionalista” e viva nel IX secolo, i “mu’taziliti”, è derivato tra XIX e XX secolo il movimento riformista-radicale della salafyya (da salaf, “ritorno alla religione delle origini”), che nello scorcio tra i due secoli si coagulò attorno all’imam Muhammad ‘Abduh e al suo riformismo (ishlah) espresso dall’università coranica di al-Azhar in Egitto e mirante alla restaurazione della primitiva purezza della fede. Venno inoltre tenuti presenti i “wahhabiti”, così chiamati dal loro fondatore Muhammad ibn Abd al-Wahhab (sec. XVIII), che preferiscono definirsi muwahhidun (“seguaci dell’unicità divina”) e combattono radicalmente qualunque forma di cedimento nei confronti della purezza del monoteismo islamico. Nonostante il suo originario carattere rigorosamente misoneista, il wahhabismo è fino dal Settecento collegato alla dinastia fondata dall’emiro Ibn Sa’ud, che dagli Anni Venti del secolo scorso domina l’Arabia detta appunto “saudita” e che spregiudicamente utilizza gli strumenti della tecnologia e della finanza moderne.
Gli sciiti, dal canto loro, si riconoscono principalmente nella corrente “duodecimimana”, che riconosce una serie di dodici imam (da ‘Ali fino alla figura messianica di Muhammad al-Mahdi, scomparso nell’874, mai morto e che tornerà alla fine dei tempi), forti soprattutto in Iran (il 90% della popolazione) e in Iraq (più del 50%). I “settimimani” riconoscono, invece, una serie di soli sette imam precedenti il mahdi: tra essi vanno ricordati gli “zaiditi” dello Yemen, gli “ismailiti” che divinizzano la figura dell’imam e lo considerano il depositario del senso segreto (batin) del Corano (tra i movimenti “ismailiti” più noti vanno ricordati i “carmati” del X secolo; i “fatimidi” fondatori di un califfato sciita nei secoli XI-XII; i “nizari”, molto noti anche in Europa tra XII e XIII secolo come “setta della Assassini” e guidati oggi dall’agha khan che ha la sua sede privilegiata nella vallata dello Humza tra India e Pakistan ed è leader riconosciuto di circa 300.000 fedeli presenti principalmente nel subcontinente indiano). Collegati agli “ismailiti” sono i “drusi”, il capostipite dei quali, il califfo fatimide al-Hakim, si presentò quale incarnazione della Divinità ed è venerato come mahdi: le loro credenze presentano forti elementi neoplatonici (ad esempio l’idea di metempsicosi) e le loro comunità sono oggi sparse tra Siria, Israele e soprattutto Libano. Dall’imamismo duodecimano si separò fino dal IX secolo il movimento dei “nusayri”, o “alawiti”, caratterizzato da una dottrina a carattere iniziatico che contiene elementi desunti dal cristianesimo e dallo zoroastrismo. Insediati in Siria, soprattutto attorno alla città di Lattakia, gli “alawiti” vi fondarono nel 1922 uno stato autonomo riconosciuto sino alla fine del “mandato” francese su quella regione e ancor oggi vi hanno un ruolo (“alawita” è la famiglia del rais Assad). Comunità sciite, per la maggior parte duodecimimane, sono presenti in Azerbaigian, nel Bahrein, in Libano, nello Yemen e nella comunità degli hazara in Afghanistan (due milioni e mezzo circa di persone, di orgine etnica uraloaltaica, insediate nelle montagne del centro del paese). Quanto ai kharigiti, essi sono ancora presenti soprattutto nel Maghreb (a Tlemcen e in Algeria).
Ci sarebbero molte altre cose da dire, ma queste poche nozioni di partenza possono bastare per avviare un discorso che dovrebbe permettere di orientarsi.