Dicembre 1993, Gianfranco Fini segretario del Msi – primo partito della capitale con oltre il 30% dei voti – giunge al ballottaggio contro Francesco Rutelli che guida una coalizione di centro-sinistra. Berlusconi, imprenditore di successo, dichiara di preferire Fini a Rutelli, “sdoganando” il Msi (partito ghettizzato a livello nazionale perché ritenuto fascista) ed i suoi voti congelati per 50 anni e, nei fatti, creando i presupposti per la futura coalizione di centro-destra tra Forza Italia, Lega ed Alleanza Nazionale che vincerà clamorosamente le elezioni politiche del 1994 contro la “gioiosa macchina da guerra” di Occhetto e della sinistra italiana. La destra per 20 anni accetta l’indiscussa e carismatica leadership di Berlusconi, il quale è anche a capo del primo partito della coalizione (Forza Italia prima e PdL poi) e gode dell’appoggio incondizionato di vari ceti sociali.
Marzo 2016, Salvini e Meloni si rifiutano di sostenere Bertolaso per le comunali di Roma, il candidato scelto da Berlusconi inizialmente con l’avallo di tutti, il quale rilascia dichiarazioni imbarazzanti e non in sintonia con l’elettorato di destra.
Giorgia Meloni si candida in prima persona a sindaco di Roma, sostenuta convintamente da Matteo Salvini che continua a costruire un fronte politico cosiddetto lepenista e sovranista ispirato ad una lotta serrata alle regole economiche e sociali imposte dall’Unione Europea così come fanno le altre “destre” del continente.
Forse dopo 20 anni muore il centro-destra italiano per come lo abbiamo inteso e conosciuto dal 1993 ad oggi e nasce qualcosa di diverso, alla ricerca di una sintonia forte che si va creando tra popoli europei contro le burocrazie europee e che guarda a tutte le fasce di età ed a tutte le fasce sociali, non solo ai cosiddetti moderati, laddove di moderati in Italia, in vero, ve ne sono sempre meno.
Un dato è certo e solo uno stolto può non accorgersene: gli scenari europei, mondiali e geo-politici dal 1993 ad oggi sono radicalmente cambiati ed è evidente che centro-sinistra e centro-destra, intesi con i nostri vecchi schemi, perlomeno su scala nazionale, appaiono oggi superati. Questo lo dice la cronaca socio-politica quotidiana: l’irrompere sulla scena mondiale di Putin, la disaffezione al voto nelle democrazie europee, l’ondata dei cosiddetti movimenti populisti, il clamoroso successo di Trump negli Usa, le difficoltà di tutti i tradizionali partiti del ‘900 ad adattarsi ai mutamenti sociali e culturali successivi alla crisi economica, all’impoverimento di una intera generazione ed alle paure di non saper affrontare né la guerra, perché di guerra si tratta, all’integralismo islamico, né il fenomeno incontrollato dell’immigrazione.
Per 50 anni nel secondo dopoguerra abbiamo vissuto divisi dal comunismo e dall’anti-comunismo, poi si è creduto che la globalizzazione dell’economia, dei diritti e della democrazia (magari esportata a suon di bombe) potesse essere il futuro dell’Europa e del mondo all’insegna di un benessere diffuso.
Oggi, invece, si vive un’epoca di sconcerto e confusione alla quale la politica non può rispondere con le stesse parole d’ordine di 20 anni fa. E più che le primarie per scegliere la classe dirigente occorrerebbe mettersi d’accordo sui temi e sui contenuti. Anche perché oggi le elezioni le vincono i leader ed i movimenti che, cadute le ideologie e abbattuti gli steccati ideologici, riescono a mobilitare l’elettorato ed il popolo.
Chi ritiene di utilizzare vecchi modelli e stesse parole d’ordine credo vada incontro ad una lenta ma inesorabile marginalizzazione nella vita sociale e politica del Paese.