Il futuro passa da Berlino? Forse è presto per scrivere la parola fine sulla carriera della cancelliera Angela Merkel. Di certo il vento è cambiato anche in Germania, un tempo “sancta sanctorum” dell’europeismo acritico, se le elezioni regionali hanno visto emergere forze politiche nuove e fino a pochi mesi fa marginali.
Un posto in prima fila spetta ovviamente ad Alternative fur Deutschland, la forza euroscettica guidata da Frauke Petry, che è riuscita a entrare in tutti e tre i parlamenti regionali per i quali si è votato e che ha superato in due casi i socialdemocratici, sfondando nella Germania orientale con una percentuale del 24% in Sassonia-Anhalt.
Un successo per il quale molti hanno gridato scandalizzati al pericolo di una “deriva xenofoba” e di “estrema destra”. In realtà nulla di tutto questo. Perche’ il movimento guidato dalla 40enne ex donna in carriera e madre di quattro figli nonche’ ex moglie di un pastore protestante, presenta in realtà un dna liberale. A ribadirlo è stata la stessa leader, che rifiutando il paragone con Marine Le Pen ne ha criticato le posizioni politiche eccessivamente socialiste e protezioniste in economia.
Per la cronaca Alternative fur deutschland prende vita da un’idea di alcuni economisti di area liberale contrari alla moneta unica, come l’ex leader Bernd Lucke, scalzato lo scorso anno dal congresso che vide il successo di frau Petry. Nulla di più lontano dunque dall’immaginario collettivo degli estremisti di destra con testa rasata e tatuaggi.
È tuttavia innegabile che le posizioni dure sull’immigrazione della nuova segreteria, così come l’invocazione di una nuova sovranità politica rispetto al progetto europeo e di una visione del mondo in generale più conservatrice abbiano attirato anche le simpatie della Germania più profonda. Del popolo del fenomeno identitario Pegida, ad esempio, che non ha mai nascosto le sue simpatie e i punti di contatto con il rinnovato AfD.
Un popolo che non si riconosce nei manuali di abbordaggio sessuale per i migranti pagati coi soldi dei contribuenti, ultimo ed eclatante esempio di un buonismo totalizzante incapace di comprendere le necessita’ dei ceti popolari tedeschi, che iniziano a vivere sulla propria pelle le contraddizioni delle politiche mercantiliste e buoniste dei governi Merkel.
Che questa novità attragga consensi soprattutto a est, in quella parte di Germania che meno ha subito, sotto la cortina di ferro, l’influenza della cultura occidentale e liberale non è una sorpresa. Non è del resto un caso che i Paesi che più faticano a tollerare le politiche di Bruxelles, in primis quelle sui temi etici e identitari, siano proprio quelli dell’Europa orientale, come Polonia e Ungheria.
La Germania più vera, quella che per troppo tempo si è sentita in colpa ad esprimere i propri sentimenti per il timore di essere accostata a un passato scomodo, ha trovato finalmente una voce dal volto pulito e credibile. Una voce che urla la parola fine a un’Unione Europea inesistente sul piano politico e identitario e che risponde a interessi diversi da quello del popolo.