Mentre in Italia santifichiamo la Pasqua, negli Stati Uniti si celebra lo Spring break, il rituale degli universitari americani che hanno una settimana di vacanza prima degli esami finali. La vacanza è assenza ed estraneità, così migrano tutti lontano e altrove, tradizionalmente verso la Florida o il Messico, dedicando le giornate a musica, alcol, droga, sesso promiscuo e via dicendo.
Del fenomeno si è visto e parlato, ma forse solo il folle sceneggiatore-regista Harmony Korine ha saputo cogliere la violenza di quel mondo nel suo “Spring breakers“. Film poco capito (e mal tradotto) in Italia, parodia grottesca dell’America e di sé stesso, nel quale quattro attrici acqua e sapone vengono svestite e trascinate in un vortice distruttivo nel nome del divertimento e della distrazione a ogni costo. Fino alla criminalità e alle peggiori conseguenze.
Questo degrado è però patinato, colorato quasi al neon da Korine, il quale denuncia l’innalzamento a modello dei professionisti della noia e della scemenza. I finti gangster, l’ode al divertimento cretino, i soldi come senso dell’esistenza: si racconta una società ricca e “pulita”, ma stupida e feroce. Non è più però la ferocia costitutiva degli USA, quella della frontiera alla McCarthy, bensì la violenza grottesca dei reality, del sesso occasionale, delle pistole d’oro, della Hollywood di “Maps to the stars” del maestro Cronenberg. La violenza inutile.
Il rischio con Spring breakers, e con la società che rappresenta, è prenderlo seriamente, quindi ignorarlo. Può sembrare un teen movie uscito male, invece è una denuncia uscita benissimo; un film volutamente superficiale e fastidioso perché profondo e terribile.
La bulimia di canzonette alla Britney Spears, di facce pulite da Disney Club e di stereotipi da video porno è talmente esagerata da farci comprendere che no, non c’è nulla di serio, eppure è tutto terribilmente serio. La stupidità diventa così macroscopica e pericolosa da metterci a disagio. È l’urlo ridicolo della società del nulla, la civiltà della noia, dove gli uomini sono spazzatura e le vite sono solo a perdere.
Il messaggio essenziale di Korine, utile alla comprensione di ciò che ci sta circondando, è che il vuoto, il nulla e la noia divengono automaticamente distruzione, violenza e stupidità. L’edonismo spinto alle estreme conseguenze non è più stimolo e premio al progresso, ma masturbazione; la libertà estrema non è più libertà. Nella società del nulla non ci sono doveri, ma solo diritti: tutto è dovuto, dunque tutto non vale niente. L’abitudine a veder soddisfatte immediatamente le nostre voglie diventa capriccio e la noia non è più resistenza a un dover-essere, ma inesistenza e apatia da bambini viziati. L’assenza di limiti non ci rende divinità, ma bestie sempre alla ricerca di qualcos’altro da consumare o usare. Sempre bisognosi di qualche nuova esperienza o distrazione.
Così, “per vedere l’effetto che fa” si può anche uccidere un ragazzo di 23 anni, a Roma, nel 2016 – anno della misericordia. Chi è meno attento si scandalizza e fa bene, ma il vero scandalo è non capire, credere che un gesto atroce e schifoso come quello sia eccezionale o fuori contesto, quando è invece ciò che accade continuamente, dappertutto. Con minore morbosa evidenza, forse, ma con la stessa violenza annoiata.
E anche la sovra-costruzione iperreale che ne faranno i media sarà una conferma, più che un’analisi, di questa violenza: una (inconsapevole?) celebrazione di quelle vite gettate in maniera orribile, nel nome di un esperimento della noia. Per la disperazione del nulla, per la ricerca di uno stato di perenne, inutile, impossibile vacanza.