Nella prestigiosa collana ammiraglia “Biblioteca Adelphi” vede la luce un’inattesa, nuova raccolta di scritti landolfiani. Sono pubblicazioni apparse per lo più in rivista, oppure sono postfazioni o corsivi, o al limite scritti d’occasione. Il curatore Giovanni Maccari ha suddiviso i testi in quattro sezioni: L’anima russa, Ottocento, Novecento e infine nella più ridotta Traduzioni inedite e disperse, di interesse per lo più filologico.
Nella sezione Ottocento prevalgono scritti su Puskin, Gogol’, Tolstoj, Čechov; nella sezione Novecento è Pasternak il protagonista assoluto, ma non mancano interessanti annotazioni su Erenburg (autore dell’allora famigerato e oggi praticamente rimosso Disgelo) e Lebedenko; nella sezione L’anima russa si leggono frammenti di qualche fascino, nei quali Landolfi descrive la Letteratura russa come un’entità in perenne disordine o in perenne subbuglio, che sfugge decisamente alle classificazioni, tutta informata da una certa eccessività o selvatichezza, per lo più connotata da un sincero e cristianissimo desiderio di bene e di fratellanza tra i popoli e ingentilita da un’infinita pietà per i deboli e gli oppressi. Chiude il volume un saggio di Maccari, Deboli trasparimenti di sott’acqua, completo di nota bibliografica delle citazioni presenti nel testo, nell’ordine in cui compaiono, e di un elenco completo dei testi e delle traduzioni di area russa in ordine cronologico…
Arbitraria raccolta di saggi, recensioni e introduzioni assemblata da Giovanni Maccari a circa quarant’anni di distanza dalla morte di Tommaso Landolfi, I russi è un libro che Landolfi non ha mai pensato né vagheggiato: semplicemente, s’è mostrato ostile, per tutta la vita, alla possibilità di scrivere una sua storia sistematica e organica della Letteratura russa, per precisa convinzione estetica e limpida renitenza intellettuale. Giovanni Maccari s’è assunto comunque ‒ se non oltraggiosamente diciamo al limite molto coraggiosamente ‒ la responsabilità di raccogliere tutti gli scritti di argomento russo del letterato laziale, eccettuata la sua tesi di laurea su Anna Achmatova. Operazioni come questa sono piuttosto complesse da giudicare. Qualche anno fa Adelphi pubblicò una raccolta di recensioni scritte da Landolfi per “Il Mondo” tra il 1953 e il 1958; si chiamava Gogol’ a Roma ed era un libro anarchico, caotico, insolente, e nonostante chiaramente non fosse stato studiato da Landolfi né tantomeno ipotizzato, ci si trovava a fine lettura ad apprezzare l’intelligenza e la sensibilità di chi aveva pensato a pubblicare un libro chiaramente landolfiano trentatré anni dopo la morte dell’autore. Questo I russi, invece, oltre a includere qualche pezzo già letto nel precedente volume “assemblato postumo”, è un libro che cerca direi ingiustamente di stabilire un ordine completamente inesistente, un ordine che anzi Landolfi avrebbe con ogni probabilità deprecato; la struttura è particolarmente capziosa e fragilissima, perché la tenuta e la resa dei pezzi è decisamente discontinua, e in più di qualche frangente si prova la sensazione di stare sfogliando qualche grigia dispensa universitaria, fotocopiata con negligenza durante un’ora di buco per far contento un professore un po’ fissato. È chiaro che qua e là si riconoscono momenti di ben diversa tenuta, ma in linea di massima mi pare pacifico che questo non si possa chiamare “libro di Landolfi”.
Questo libro è invece “Giovanni Maccari che interpreta e dispone scritti piuttosto eterogenei di Landolfi”: Landolfi, un russista che non ha mai avuto né voluto né cercato cattedre, restando franco tiratore, superbo dilettante, splendido laterale. Landolfi ha amato la Letteratura russa d’un amore sconfinato: non ha mai visitato la Russia, l’ha solo immaginata e dedotta tramite romanzi e poesie. Maccari ci ricorda che per una fortuita coincidenza Landolfi ha esordito contemporaneamente come narratore e come russista, sullo stesso numero della sconosciuta rivista “Vigilie letterarie”, nel 1930. In vita, Landolfi avrebbe poi incarnato uno degli archetipi della letteratura russa, quello del nobile spiantato. Bizzarro destino di uno scrittore singolare e di un russista di genio. O forse era il contrario.
* I russi di Tommaso Landolfi (Adelphi)