Un’accorata lettera d’amore a un’amante persa e mai dimenticata. Un’ode che si fa biasimo ed esortazione di una grande passione: l’Italia, la meravigliosa creatura esposta alle intemperie esterne e condannata da un intimo autolesionismo. Una narrazione toccante e mai retorica. Un odi et amo alla Nazione è il Comizio d’amore del giornalista e scrittore Marcello Veneziani. Lo spettacolo teatrale si è svolto a Roma giovedì 3 marzo, presso l’Auditorium Due Pini di via Zandonai. La serata, con notevole successo di partecipazione, è stata organizzata dall’Associazione culturale M’Arte.
Un monologo ritmato dai fotogrammi di un grande paese che fu, e non ha ancora cessato di essere. l’Italia è l’allegoria di una donna bella, bellissima, da sedurre a ogni costo e con la stesso impeto abbandonare. Quanto può essere inutile la bellezza? Amare e fuggire purché non si scenda mai al di sotto della superficie dell’avvenenza. Spaventosa è la possibilità di scorgere qualcosa di ancora più incantevole che implicherebbe un ulteriore passo: prendersene cura. E allora si rimane sulla crosta, quello spazio in cui la bellezza si fa inutile e grave, un fardello di pesantezza da lasciarsi alle spalle. L’inutilità della bellezza si fa imperativo di una convinzione altrettanto inane: tutto è in superficie e in superficie tutto è. Contrariamente è necessario osare, andare oltre il primo incontro di veemenza e frivolezza. Domandarne un secondo, scoprire i tesori di una grazia che non amoreggia con il nulla. Quel niente che avanza e si fa sempre più minaccioso per la presenza di una grave falla nella memoria: una voragine infinita dove l’identità si perde. Un abisso può farsi percorso tribolato, ma fortemente lucente nella riscoperta del ricordo: chi siamo stati è l’unico modo per comprendere chi siamo. Il passato è nutrimento per il futuro. Sul palco i granelli di una clessidra, dal prima si levano nel dopo in un auspicio: colmare l’imminente vacuità del futuro. Senza conoscenza delle origini non matura la consapevolezza e privi di coscienza ci perdiamo in una nazione senza volto.
Al cospetto di una donna amata che si fa sempre più sfuggente, l’unica soluzione sensata appare la fuga. Una partenza precipitosa, vagheggiata nell’inattuabilità, sembra essere il tema più abusato dagli italiani. Con il cuore fuori dalla valigia, quale evasione può afferrare un lieto fine? Un grande amore indugia con noi per sempre. Più si tenta la via della rimozione, più quello cresce e si trasforma in un mostro di malinconia gigantesco: da fuggitivi ci rende esuli.
La donna amata è un paese nel limbo, che nella mancata volontà di uscirne, è già inferno. Gli italiani di Veneziani sono gli “italieni”, creature alienate, provenienti da un altrove lontano non meglio identificato. Nella dissociazione dell’individuo resta la potenza di un vessillo, l’illusione di un tutto che non è niente: il telefonino. È la fuga agognata e quasi mai realizzata, il coraggio sospirato e non raggiunto, l’abbaglio di potenza in una condizione di sottomissione.
Gli “italieni” vivono nell’autolesionismo, un circolo vizioso dove l’Italia si galvanizza nella sofferenza. Un vortice nel quale la Nazione è al tempo stesso vittima e carnefice nel proliferare di orgasmi in una relazione masochista. Nel sadismo auto inferto, la creatura non si ama: il peggio, acconciato a festa, guadagna il podio come il meglio. Un paese che ha perso l’autostima non può pretenderla dagli altri.
Gli italiani idealmente in fuga evocano opere inquietanti: le immagini mortuarie sul viale Karl Johan di Munch. Cambia la strada in via del Corso, via Roma, via Manzoni, via Toledo, via Etnea. Formano una processione funerea, ma con gli occhi sbarrati a indicare un contrasto tra il lasciarsi morire e il voler ancora guardare e partecipare alla vita di una nazione. Spaventati e privi di espressione con la speranza nel cuore in una figura controcorrente: l’emblema del restare.
L’Italia di Marcello Veneziani non è ancora un’Atlantide, ma vittima di un’indolenza tipicamente nazionale, rischia di incamminarsi su una strada senza ritorno. Possiede la fragilità di una bella donna che tutti desiderano, ma nessuno per la vita. È la povera patria cantata da Franco Battiato che rimanda sempre a domani ciò che potrebbe fare oggi. Ma gli italiani ignorano la sua mortalità, e nel far questo, il loro amore è sempre a metà, rinunciatario e flebile.
Quella di Veneziani è una meravigliosa operazione sul pulsare del ricordo e della memoria: entità vive e non cantucci di polvere dove rifugiarsi. Una spinta a non dimenticare i nostri padri storici, letterari, artistici. Ricordare per ripartire, continuare e perseverare con l’identità nel cuore e l’orgoglio sul volto. Uno spettacolo da guardare, ma soprattutto da vivere per riscoprire in ognuno di noi un italiano autentico e vivente.
Comizio d’amore: testo Marcello Veneziani, regia Marco Bragaglia, attori al leggìo Luca Violini/Giuseppe Abramo.
Da Lettera agli italiani (Marsilio NODI, pp. 156, euro 16) di Marcello Veneziani:
Voglio bene all’Italia anche se mi fa male vederla così. Voglio bene all’Italia anche se è davvero malata, ma questo è un motivo per amarla di più. La vedo tutt’altro che eterna e possente, la vedo fragile e assente, molto invecchiata; la vedo stanca e spaventata, la maledico, ma è una ragione di più per darle il mio fiato. Perché l’Italia non è solo una Repubblica. L’Italia è mia madre. L’Italia è mio padre. L’Italia è il racconto in cui sono nato. L’Italia è la lingua che parlo, il paesaggio che mi nutre, dove sono i miei morti. L’Italia sono le sue piazze, le sue chiese, le sue opere d’arte, chi la onorò. L’Italia è la sua storia, figlia di due civiltà, romana e cristiana. L’Italia è il mio popolo e non riesco a fare eccezioni, quelli del Nord, quelli del Sud, quelli di destra o di sinistra, i cattolici o i laici. Ho preferenze anch’io, ma non riesco a escludere per partito preso. Non escludo chi parte e nemmeno chi arriva. L’Italia è il ragazzo che va all’estero, l’Italia è l’immigrato che si sente italiano. Ho gerarchie d’amore; amo prima e di più chi mi è più caro e più vicino, come è naturale. Vorrei che l’Italia fossero pure i figli dei miei figli. Vorrei poi che l’Italia premiasse i migliori e punisse i peggiori, ma voglio che resti Italia. Con l’Europa o senza. Repubblica vuol dire che l’Italia è di tutti e lo spirito pubblico prevale sull’interesse privato. Ma dire Repubblica è troppo poco, c’è una parola più adatta: Patria. L’Italia è la mia casa, è il ritorno, è l’infanzia, il cielo e la terra che mi coprirà.
Le date e i luoghi degli spettacoli sono visibili sulla pagina ufficiale di Marcello Veneziani