
“Attraverso La Luce” (Eretica Edizioni 2015, p. 82) di Vincenzo Moggia, giovane scrittore di Livorno, laureato in filosofia, è una raccolta di 38 testi scritti tra il 2002 e il 2005 e suddivisi in sei parti oltre un’appendice. Si tratta di composizioni di vario tipo: prose poetiche si alternano a liriche in versi liberi e non di rado ipermetri, con un lessico classicheggiante, attento alla forma, qualche arcaismo e con significati a volte criptici, ambigui che chiamano il lettore, come nota nella sua prefazione Mario Bernardi Guardi, ad un vero e proprio cimento col testo. E ciò malgrado una poetica dichiarata dall’autore nell’introduzione e in una lirica iniziale, nella quale si fa appello alla semplificazione e alla limpidezza della comunicazione: “Io odo la celata musica / il segreto sussurrato nel silenzio… E come un pescatore còlto carico di perle / emerge dagli abissi / emergo dal silenzio / con un solo carico di versi / levigati come perle levigate dagli abissi.” I testi si raccolgono intorno ad un filo conduttore: la volontà di trascendersi in una dimensione superiore. Il che implica un percorso, delle stazioni esistenziali, cui sembrano alludere i titoli delle sei sezioni: Eden, Caduta, Eros, Fuoco, Spirito, Giudizio. Riportiamo da ogni sezione qualche brano o qualche verso tra i più significativi, avvertendo che, a nostro avviso, la tensione lirica si eleva nella quarta e quinta sezione dove l’effusione dei sentimenti si fa più concreta, si fa dialogo e quotidianità, superando un’espressività un po’ più contenuta, che si riscontra in tutte le altre sezioni: “C’è solo la Luna nel cielo ed è più rossa di sempre. Alcune nubi offuscano la luce mentre una foschia rende più interessanti le vaghe ombre. Ci accordiamo spontaneamente ad un ritmo lento che risale le spirali della notte per riscendere e adunarsi lungo l’asse del pianeta. È il tempo del silenzio e non risuonano domande. Lasciamo fare all’orizzonte che trascende dal chiaro azzurro al viola cupo.” “C’è uno strano cielo. / Prime luci brillano nel vento, / gravano le strade nubi cupe. / Io m’avanzo rapido nel gelo. / Non piove. C’è uno strano, / strano cielo.” “Chiamo a raccolta gli angeli e comando: / i tuoi piedi cadano su petali, / le luci del tramonto scendano a corona / sul tuo capo e di lontano / splenda il volto tuo come una stella / che al centro graviti del mondo. Io / mi perderò in silenzio ad ammirare / la tua grazia accesa nell’Eterno; / a sera un caldo miele colerà / la stella vespertina sui tuoi occhi ed io / devoto mirerò il tuo sonno, mentre i soli / di remoti spazi giungeranno a porgere / i tuoi sogni, realizzati, sui cuscini.” “(…) E vorrei dirti / non so dire che sarà del nostro amore / in fitte spire avvolto dal destino. / Respirare il Tempo non ci è dato. Ma qualcosa / so: che ancora prego, fervido, ogni notte / per questo nostro amore abbandonato, / che piange e grida forte, e forte splende / come una stella pronta all’esplosione, / come un bambino solo nella culla.” “È nell’assenza che il miracolo si compie, / nel silenzio della tenebra discesa / un lumicino brilla sospeso nell’ignoto gravitare delle ombre, / che tremula lontano al nostro sguardo.” “Allora spalancammo i cancelli / e la luce irruppe nel silenzio / fumosa in raggi come un libro / chiuso lungo tempo / E attraverso la luce / vedemmo il giardino in rigoglio / e lo splendore di libellule e farfalle / come stelle buie nell’abbaglio / La strada indicava un canto antico / lungo gl’invisibili sentieri / e i calici roridi di brina / brillavano nel Sole / A lungo camminammo al gazebo / e non fu incanto / che non fosse palese / nulla vidi che avesse moto proprio / Nulla che si movesse” .






