Trump non è più un’ipotesi. Un concetto semplice, che i vertici dei due maggiori partiti USA stanno cercando di metabolizzare, con i repubblicani che studiano contromosse di ogni tipo per fermare un uragano che, se manterrà tutti i suoi intendimenti, potrebbe travolgerli. In queste ore a tenere banco è il sostegno al tycoon del governatore del New Jersey, Chris Christie, moderatissimo candidato repubblicano che si era però ritirato all’inizio della corsa. Il suo sostegno non può fare altro che accrescere la popolarità di Trump, che sta vincendo le primarie ovunque e si prepara a fare il pieno durante il super martedì, in cui voteranno 13 stati contemporaneamente. Una bella gatta da pelare.
Nel Grand Old Party si interrogano come fermarlo e qualcuno sta già avanzando l’ipotesi di far ritirare uno dei suoi sfidanti, Cruz o Rubio. Se si ritirasse il secondo sarebbe comunque una sconfitta per la burocrazia del partito, in quanto Cruz è anch’egli un outsider. Nel frattempo i media stanno intensificando la macchina del fango, usando toni che rasentano la violenza. Il giornalista Ross Douthat, del New York Times è addirittura arrivato a condividere una scena nella quale un candidato presidente, che scatenerà sicuramente una guerra se eletto, si fa scudo di un bambino per non venire ucciso. Il commento non lascia adito a fraintendimenti e recita “Ho visto come finirà la campagna di Trump”. Douthat si è poi scusato, ma altri hanno parlato di Trump come di una minaccia globale. Arianna Huffington proprio in questi giorni spiega in un’intervista a Repubblica quanto sarebbe cattivo e mostruoso questo nuovo nemico pubblico numero uno.
Ma perché questo miliardario sarebbe così deleterio? Il motivo è presto detto. Negli Usa vige da anni una cappa di conformismo che opprime la comunicazione e la vita pubblica. Nelle università si scandagliano i libri e le lezioni dei professori per censurare tutto ciò che potrebbe essere “politicamente scorretto” e la dittatura della neolingua è ormai a regime. Donald Trump ha distrutto in poco tempo tutto questo, mettendo a rischio la sopravvivenza, oltre che di una costruzione culturale soffocante, anche il posto di lavoro di molti maestri del politicamente corretto. Come si potrebbe riprendere qualcuno che non si vuole adeguare ai dettami dei ben pensanti se lo stesso presidente utilizza un frasario decisamente anti conformista?
Trump ha inoltre riportato in auge l’agenda anti immigrazione della destra più identitaria, se così si può chiamare, demolendo il buonismo obamiano e mettendo in discussione gli accordi che lo stesso partito repubblicano ha fatto recentemente con il partito democratico in Parlamento.
Su tutto però, a creare scandalo (e consenso) , ci sono affermazioni abbastanza recenti riguardo un tabù che nella società americana non può essere toccato, se non da qualcuno che ha davvero una buona dose di fegato: la guerra in Iraq. Oltre quattro mila morti, 31 mila feriti, decine e decine di soldati misteriosamente suicidi. Un trauma che non è ancora stato metabolizzato. Trump non esita a dire che quella guerra è stato un grave errore, che la crisi libica, l’Isis e tutto ciò che è successo dopo, sono conseguenze di quell’invasione. Come dargli torto?
Dunque, il pericolo Trump è tutto qui. Dice ciò che nessuno ha il coraggio di dire. Con il suo avvento, la realtà ha fatto finalmente irruzione nel dibattito pubblico. Era ora.