Se non mancasse l’indicazione esplicativa che Renzi non è altro che un nome collettivo, non potrei altro che sottoscrivere senza il minimo commento, con la più assoluta attenzione l’editoriale del colle Ernesto Galli della Loggia “L’egemonia ha bisogno di un’idea. E’ necessario restarle fedeli”. Il sottotitolo è ancora più esaustivo e condivisibile: “Al di là della “rottamazione”, il presidente del Consiglio non sembra riuscire ad essere protagonista di alcuna vera rottura. Il “renzismo” resterà al massimo una strategia di governo (e di sottogoverno) di successo per un Paese fermo”.
Il bilancio, ormai a biennio concluso, è negativo perché il “cerchio magico”, più o meno consistente numericamente, non è stato capace di elaborare strategie tali non solo da “rottamare” ma – problema autentico e finora insoluto ed insolubile – da costruire . In Italia manca – osserva giustamente l’editorialista – chi tenti “di costruire un consenso di ampie dimensioni intorno a una visione per così dire alta e forte del futuro del Paese, essendo inoltre capace di mobilitare a tal fine le necessarie risorse culturali e intellettuali”. “Una collettività – continua Galli – non può rinunciare per un tempo troppo lungo – come sembra stia facendo l’Itala – a guardare lontano, ad avere dei valori che la orientino nel suo cammino, ad avere un’idea di sé e del suo ruolo nel mondo”. E’ da riconoscere comunque che il nostra Paese lamenta questo vuoto sin dalla nascita della II Repubblica con i governi Prodi precari ma presuntuosi quanto velleitari e con l’esperienza del centrodestra, soffocata ed isterilita dall’autocrate lombardo, preoccupato prima di tutto di se stesso e del suo appeal, poi delle sue aziende, poi delle sue questioni giudiziarie, poi delle fortune o delle sfortune del suo “Milan” e per ultimo e da ultimo dei problemi italiani. In questa coalizione è mancata la destra, costretta a svolgere fino all’inutile quanto tardiva ribellione di Fini un ruolo marginale ed acritico di mero supporto, condannandosi a essere sempre e soltanto non vassalla ma valvassina.
Galli si sofferma sul progetto (il miliardesimo) avanzato dal “presidente del Consiglio” della creazione a Bruxelles di un think tank di nomw “Volta”, che a detta dell’adulatore direttore del “Foglio” “farebbe pensare al desiderio da parte del premier di costruire una forte prospettiva ideologica considerata necessaria al consolidamento della sua leadership, con l’intento, addirittura, di trasformare il “renzismo” in un’egemonia culturale”. Più avanti Galli svela agli ignari coloro che dovranno gestire il “Volta”, facendo emergere lo scontato (amministratori delegati e dirigenti di grandi imprese nel ruolo finalmente ufficiale di responsabili e di motori dell’iniziativa, e scrittori, docenti di governance e di public affairs, direttori di musei, responsabili di organizzazioni umanitarie (immancabili, magari nominati dall’amici Pontefice) nella posizione di vassalli). L’editorialista rivela che essi , gli unti del signore toscano, sono “per una buona parte inglesi, americani, spagnoli, francesi e tedeschi”, i quali con meritato sarcasmo osserva “si può presumere che sappiano dell’Italia quanto so io del Michigan”. Conclude, come dovrebbero concludere tutti gli italiani sulle riforme promesse e mai realizzate, notando che l’oggetto misterioso “servirà a poco o a nulla”. Meglio ancora finisse con una sonora quanto mortificante risata simile a quella riservata sempre al “capo del governo” dai giornalisti della stampa estera. Galli in definitiva vede Renzi privo di qualsiasi tradizione, cioè oltre il nulla, il vuoto .
Nel foglio della famiglia Berlusconi, legata al triste e tristo accordo del Nazareno, in vena di nostalgie leopardiane o gozzaniane, lo si considera ancora “la giovane scommessa vincente di un Paese che aveva bisogno di non arrendersi”. Il politologo, già parlamentare della Sinistra, Gianfranco Pasquino gli attribuisce un voto, 6 -, al limite della sufficienza, per “le poche cose” realizzate, il Jobs act e la “buona scuola”.
Ora è freschissimo il parere di Bankitalia sulla disposizione, parere già espresso da milioni di italiani, da quelli cioè che finanziano con le loro tasse gli incentivi. Sul provvedimento relativo alla scuola bisognerà vederne i frutti sul periodo lungo e soprattutto smetterla di considerare i presidi i “salvatori della patria”, perché essi non sono marziani ma virgulti di questo sistema ed è avvertito il timore, per non dire la certezza, che, adulati ed enfatizzati, possano ritenersi una casta prepotente e prevaricatrice intangibile ed indiscutibile.