La risposta di Fabio Andriola, storico e scrittore, alla riflessione di Mario Bozzi Sentieri sul Museo del fascismo a Predappio apre un dibattito interessante sull’impegno civile per una memoria plurale. E sulle responsabilità degli squilibri e delle omissioni presenti nel panorama italiano ***
Caro Mario,
per le belle speranze (come a suo tempo per la pietà) non c’è gran spazio. Cito da Repubblica del 16 febbraio scorso:
“Costruire un luogo che ricostruisca la storia del Novecento italiano, che faccia i conti con il nostro passato ed esamini e spieghi come sia stato possibile che un intero popolo si sia consegnato nelle mani di regimi totalitari. E’ questo ciò che vogliamo costruire a Predappio” spiega il deputato romagnolo del Pd Marco Di Maio. “Se l’intenzione è quella di creare un luogo di memoria sui crimini fascisti ben venga. Credo tuttavia che possa essere questa l’occasione per riaffermare la richiesta di integrare il reato di apologia di fascismo” aggiunge il capogruppo del Pd della Regione Emilia-Romagna, Stefano Caliandro. «A Predappio non nascerà nessun museo del fascismo ma un luogo che ricostruirà la storia del Novecento italiano – ricorda, infatti, Caliandro – e spiegherà come sia stato possibile che un intero popolo si sia consegnato nelle mani di regimi totalitari, ed anche l’Anpi nazionale è coinvolta in questo percorso».
Il Museo nasce come nasce e ben gli sta a chi, nei decenni ha vellicato il reducismo più gretto a base di pagliacciate e souvenir, lasciando carte e documenti ai vari istituti della Resistenza, evitando di raccogliere in modo sistematico le memorie dei veri reduci, tralasciando qualunque iniziativa serie e non dilettantistiche come convegni, pubblicazioni, documentari ecc. ecc.
Quando un certo mondo capirà il valore del “soft power” culturale sarà tardi. E né io né te saremo qui a vedere quel momento.
*direttore del mensile Storia in Rete