Dopo tante discussioni, frenate e timori, nel 2019, a Predappio, nell’ex Casa del fascio, dovrebbe aprire i battenti il museo del fascismo. Costo complessivo dell’opera 5 milioni, di cui 4,5 sarebbero fondi pubblici. Il sindaco Pd Giorgio Frassineti, grande sponsor dell’iniziativa, conta di ricevere 1,8 milioni da un bando regionale con contributi europei per “interventi culturali con forte attrattività turistica”, mentre 500 mila euro li può stanziare direttamente il Comune. “Altri 500 mila euro li metterebbe la Fondazione Cassa di risparmio di Forlì – spiega il primo cittadino – mentre per i due milioni mancanti ha speso parole di interesse al progetto il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Luca Lotti, che è venuto il 29 gennaio. Ora aspettiamo i tecnici di Palazzo Chigi per la prossima settimana, per un sopralluogo”.
La notizia nella notizia è evidentemente il coinvolgimento diretto del governo, ma non solo. “Sdoganare” la memoria del fascismo, con un museo permanente, significa consegnare finalmente l’ esperienza del Ventennio alla Storia, uscendo fuori dalle strettoie delle interpretazioni ideologiche (di parte antifascista) e dal folclore nostalgico. Certo, a livello storiografico il problema dell’interpretazione del fascismo è superato da decenni. Ma l’impatto massmediatico di un museo è evidentemente altra cosa rispetto a qualche tomo per specialisti del settore. Così come lo furono, nei primi Anni Ottanta del ‘900, due iniziative di rottura, la mostra milanese “Gli anni Trenta” e quella romana sull’”Economia Italiana tra le due Guerre”.
“Esprimere sul fascismo una condanna morale e politica per il contenuto antidemocratico e oppressivo del regime, non deve significare ignoranza delle caratteristiche che aveva allora la vita sociale e culturale del nostro paese” – scriveva, nel 1982, l’allora Sindaco di Milano, il socialista Carlo Tognoli, a presentazione del catalogo della rassegna “Gli anni Trenta”.
Ricordando l’esperienza della mostra “Economia Italiana tra le due Guerre”, realizzata nel 1984 a Roma, Giano Accame, che ebbe un ruolo importante nell’impresa, così ne parlava “È stato un contributo culturale molto importante alla pacificazione di una Roma insanguinata e feroce. Sono contento di avervi partecipato e grato al vice sindaco socialista di allora, Pier Luigi Severi, ed ai suoi collaboratori per l’appoggio sereno, mai fazioso, che mi hanno dato. Ritengo che con una giunta democristiana sarebbe stato più difficile, se non impossibile, impostare una impresa culturale di queste proporzioni”.
Dopo quelle mostre, altre ne sono venute, dedicate soprattutto ad artisti e a specifiche esperienze architettoniche ed urbanistiche dell’epoca.
L’apertura del museo di Predappio vuole dire però mettere il fascismo in quanto tale al centro della riflessione, con tutte le complessità del caso, le ombre e le luci, ci auguriamo anche le dinamiche legate alla sua nascita, le sue articolazioni sociali, l’essenza culturale.
Speriamo che l’impresa sia scientificamente sostenuta ed espressione di pluralismo interpretativo. Non vorremmo che tutto si riducesse alla mostra di qualche bella immagine, con relative didascalie di rettifica ad uso del politicamente corretto. Il fascismo e l’antifascismo meritano ben altro.