Forma e metafisica. Spazio e anima. Geometria e trascendenza. Dualismi per raccontare il pittore che sposava le parole dell’anima e i segni delle architetture. Siamo tutti affascinati dal maestro di San Sepolcro, dal suo racconto universale di madonne, santi, guerrieri, uomini enigmatici che discutono mentre Cristo è flagellato. Così, nella famosa ‘Flagellazione’, il dolore è raffigurato dentro la classicità di uno spazio. Ma Piero della Francesca non è il pittore del dolore, lo si comprende con la mostra forlinese, “Piero della Francesca. Indagine sul mito”, dal 13 febbraio al 26 giugno, presso i Musei San Domenico, con l’organizzazione del Comune e della Fondazione della Cassa di Risparmio di Forlì.
Furono affascinati dal maestro rinascimentale d’Annunzio, Huxley, Pasolini. Il poeta friulano scriveva che, nella sua anima, viveva “tutto Piero”, poi diceva di aver saputo raccontare in versi l’affresco pierfrancescano della “Battaglia di Eraclio e Cosroe”, una battaglia di luci e spade. Il Novecento amò questo altissimo maestro dell’affresco, così la mostra ha la sua principale intenzione nel creare collegamenti ideali tra gli artisti del secolo scorso e Piero. Ecco il proposto parallelismo con Casorati, Campigli, Carrà, Funi, Sironi, anche con Seurat, Signac, Balthus, pittori ispirati dalla grandezza di un linguaggio rinascimentale o da una koinè italica che è espressione di un’anima artistica insieme popolare e aristocratica. Perciò, quando leggiamo “Santa Apolonia”, tavola in mostra a Forlì, torna l’idea di riflettere su un’arte popolare e aristocratica nello stesso momento. La santa dipinta nel 1460 stringe una tenaglia, come umile lavorante, mentre fiera guarda innanzi per ammonire i fedeli; per questo “Santa Apolonia” è nello stesso momento donna del popolo e della nobiltà. Tutto ciò conduce all’analisi di Vittorio Sgarbi su un’altra opera, la “Madonna del Parto”. Per la famosissima Madonna, il Vittorio nazionale ha scritto che la Vergine di Piero è “regale e popolare insieme.”
Questi capolavori dicono che, alla base dell’arte italiana, vi sono espressioni della nobiltà accanto ad espressioni del popolo, entrambe unite dalla sovranità comunitaria dell’arte. Pure in questo senso, si apprezza l’affermazione di Francesca Bonazzoli, nella presentazione della mostra sul Corriere della Sera, “Fu sulla maniera sintetica di Piero che l’arte italiana trovò la prima unità nazionale.” Come per altre storie artistiche, Piero della Francesca rappresenta un mito italiano, nato dopo che la sua opera rimase offuscata per troppo tempo.
Al centro della mostra/evento forlinese, vi è l’idea di cogliere la forza simbolica di un’immensa narrazione pittorica; una forza che parlò ai pittori dei secoli scorsi e parla al visitatore che ritrova le sublimi figurazioni o della santa con il volto da contadina o della “Madonna della misericordia” (1445/1462), la quale, con un grande mantello, abbraccia i suoi fedeli, otto personaggi, una piccola comunità semplice ed estasiata.