Ma’alula è un villaggio a Nord di Damasco, culla del cristianesimo medio-orientale. Nella città, che prima della guerra contava circa 3000 abitanti, si parla ancora l’aramaico attribuito a Gesù Cristo ed era luogo di pellegrinaggio perché sorge alle pendici di un altura dove si trova l’antica chiesa dei SS. Sergio e Bacco, che a sua volta sorge su un tempio romano costruito a sua volta su un sito sacro di molto precedente e contiene l’altare più antico della cristianità.
L’abitato sorge intorno al monastero e santuario di Santa Tecla, prima martire cristiana, battezzata da San Paolo.
Alla fine del 2013 Ma’alula è stata oggetto di attacchi da parte del gruppo Al Nusra legato ad Al Qaida che ha devastato le chiese e il santuario, profanando anche i resti di Santa Tecla, rubando o distruggendo le icone, alcune risalenti al XVI secolo. Nei raid furono rapite 12 suore di Santa Tecla e martirizzati 13 giovani cristiani che si erano rifiutati di rinnegare il Cristianesimo.
Oltre a distruggere la grande statua della Madonna che vegliava sul villaggio dall’altipiano – statua sostituita a giugno scorso da una copia conforme offerta da donatori musulmani – i terroristi si sono accaniti per giorni contro le case del borgo antico, numerose case di pietra millenarie di proprietà delle famiglie storiche della locale comunità cattolica di rito greco, che sono state prima bombardate con razzi e mortai e poi con massi fatti rotolare sulle rovine dall’alto della roccia.
Le famiglie cristiane hanno trovato rifugio presso la comunità siro-ortodossa di Damasco.
La parrocchia, la comunità e i profughi sono sostenuti dal patronato del Patriarcato di Sant’Ephrem, presieduto dall’Arcivescovo Dionysius Jean Kawak, con sede a Damasco.
Il patronato ha lanciato un progetto volto alla progressiva ricostruzione delle case distrutte per consentire il rientro dei profughi nel loro villaggio e la rinascita socio-economica della comunità.
Mentre la ricostruzione del santuario di Santa Tecla necessiterà di un impegno immenso preceduto da uno studio da parte di esperti accreditati nel campo dei beni culturali, la piccola Chiesa bizantina dei SS. Sergio e Bacco ha riportato danni relativamente contenuti, mentre le case storiche necessitano oramai di una ricostruzione integrale che potrà solo ricordare il borgo originale nell’utilizzo dei materiali ricavati dalla roccia locale.
Il patronato ha già realizzato un progetto di minima per la ricostruzione delle singole case, quantificando a circa 12mila dollari il costo di ogni unità, utilizzando materiali e manodopera locale.
L’intero borgo conta circa 200 unità abitative, il numero è approssimativo perché alcune abitazioni sono state nel tempo fuse o divise a seconda delle esigenze dei nuclei familiari. Quindi la somma e il tempo necessari per realizzare una completa ricostruzione sono ingenti.
Sant’Ephrem quindi, ha lanciato un primo progetto che si concentrerebbe sulla ricostruzione di circa 20 case, nella parte Nord-Occidentale del villaggio, selezionate tra le più antiche e perché si trovano in un’area già in gran parte liberata dai detriti e dalle macerie e inoltre perché appartengono alle famiglie più indigenti della comunità, famiglie che non hanno altre soluzioni abitative e appartengono quindi oggi al grande numero degli internally displaced, i rifugiati “interni” che hanno trovato rifugio nei campi profughi e oggi dipendono interamente dal patronato per il loro sostentamento.
Sono stato in Siria in un anno fa, con una Ong di carissimi amici, per incontrare i responsabili del Patriarcato, impegnato nel sostentamento di migliaia di famiglie di profughi. Con qualche difficoltà, accompagnati dai responsabili del patronato, siamo giunti fino a Ma’alula. Ci siamo aggirati tra le case sistematicamente distrutte, le chiese con le statue fatte a pezzi, i crocefissi smembrati, le icone secolari devastate dalla furia iconoclasta.
Per mesi sono stato testimone di campagne di “solidarietà per i cristiani perseguitati nel mondo” che si sono solitamente sostanziate in clic e mi piace su qualche sito o sulle dichiarazioni rituali di qualche esponente politico in cerca di visibilità. Come è nella mia natura ho polemizzato con tutti segnalando che c’era la possibilità e la necessità di fare qualcosa di concreto sostenendo questo progetto di Sant’Ephrem, ma senza ottenere particolare ascolto.
Dall’inizio di quest’anno qualcosa è cambiato, con la diponibilità di alcuni donor privati a sostenere l’iniziativa di ricostruzione di cui ci siamo fatti portavoce. Tra questi, la Fondazione Alleanza nazionale, il cui contributo a mio personale avviso ha una grande importanza simbolica oltre che sostanziale. Perché finalmente dalle risorse prodotte dal sacrificio e dall’impegno di migliaia di italiani che credevano in valori che vanno oltre i confini e oltre il tempo, verrà generato qualcosa di tangibile e duraturo – vero e primario come può essere una casa per una famiglia che è stata privata della propria – che farà onore a tutti quegli anonimi uomini e donne di cui quel patrimonio è l’eredità.