L’etimologia del termine italiano “caso” risale al latino casus-us che vuol dire caduta. Il filosofo greco Leucippo riteneva che il cosmo si fosse costituito configurandosi secondo una figura ricurva, essendo gli atomi soggetti a un moto casuale imprevedibile. Per Democrito «tutto ciò che esiste nell’universo è frutto del caso e della necessità»: questa concezione viene ripresa da Epicuro con la sua teoria della parenklisis, termine successivamente tradotto da Lucrezio con il termine latino clinamen, per cui avviene una fortuita deviazione nella caduta verticale di atomi che causano così cozzi atomici che danno luogo a eventi casuali.
Un tentativo di conciliare i termini contrapposti di caso, necessità e libertà è nel mito di Er che Platone colloca alla fine de La Repubblica. Anche Spinoza nega l’esistenza del caso poiché «il mondo è un effetto necessario della natura divina, e non è stato fatto per caso». Infatti nella coincidenza di Dio con la Natura non esiste nulla all’infuori di Lui e se a noi, esseri dal limitato intelletto, appare diversamente è perché siamo incapaci di cogliere la mirabile armonia del tutto. Nel XVII secolo, Leibniz e Bossuet sostengono che se l’uomo crede che ci siano avvenimenti che si producono per caso questo è dovuto alla contingenza della ragione umana incapace di elevarsi alla necessità del sapere divino che ha tutto organizzato ab aeterno in un’armonia prestabilita del cosmo e della storia. Il secolo successivo, E.G. Lessing asserirà: «Dire caso è dire bestemmia. Niente al mondo è caso». «Ciò che chiamiamo caso non è e non può essere altro che la causa ignota di un effetto noto», preciserà Voltaire nel suo Dictionnaire.
Ma nello stesso XVIII secolo, David Hume conducendo la sua critica al principio di causa, giunge ad affermare che il rapporto causa-effetto non abbia nulla di necessario, nel senso che non vi è nessuna necessità che ad una precisa causa debba necessariamente corrispondere un preciso effetto. Il secolo scorso, sulla stessa falsariga, il filosofo e biologo Jacques Monod annunciò trionfalmente: «L’antica alleanza è infranta; l’uomo finalmente sa di essere solo nell’immensità indifferente dell’Universo da cui è emerso per caso. Il suo dovere, come il suo destino, non è scritto in nessun luogo. A lui la scelta tra il Regno e le tenebre» dimostrando tra l’altro di voler creare una sorta di metafisica scientista, dato che per “Regno” in questo caso non si potrebbe intendere nient’altro. Ma la verità è che nessuna dottrina scientifica ha un valore che trascenda quello di mera probabilità, ed è sempre suscettibile di modifiche in seguito a nuove scoperte, questa fu la tesi fatta propria dalla epistemologia di K.R. Popper e radicalizzata da I. Lakatos e P.K. Feyerabend.
Di tutt’altro avviso rispetto ai suoi moderni colleghi Hume e Monod è invece Cicerone che ebbe ad anticipare l’analogia dell’orologiaio nella sua opera De natura deorum:
«Se ti capita di osservare un orologio a sole o una clessidra ad acqua comprendi subito che l’indicazione dell’ora è dovuta all’arte del costruttore e non al caso. Orbene, è forse coerente ammettere tutto questo per poi disconoscere senno e ragione alla natura che raccoglie in sé le arti, gli artisti e gli esseri tutti?».
Non si riflette mai abbastanza, inoltre, sulla valenza culturale del corpo umano. Il corpo, più estraneo a noi stessi di un oggetto qualsiasi, lo vediamo, lo palpiamo, ne abbiamo sensazioni e delle reazioni e via dicendo, tuttavia per ogni uomo il corpo è un entità enigmatica in cui misteriosamente si sveglia e a cui si trova connesso. Come ci sfugge il potere per cui, al nostro comando, un braccio si muove, del pari ci sfugge quello per cui il cuore batte. Il corpo anche per il miglior anatomista del globo terracqueo è un’incognita. Ci sembra chiaro, tuttavia, che la molteplicità degli organi che compongono il corpo siano strutturati in vista di un fine, ed è logico come il corpo nel suo insieme sia costituito in vista di una funzione complessa: gli occhi sono fatti per guardare, le orecchie per ascoltare, il naso per odorare, la bocca per mangiare, la lingua per gustare i cibi, e via dicendo. Saremmo spinti, dunque, a dire con De Bonald che «l’uomo sia un’intelligenza fornita da organi»: il corpo, infatti, è in qualche modo finalizzato all’anima.
Potremmo altresì pensare che la varietà delle strutture degli organi umani – e di quelli animali, si intende – siano il risultato di una improbabile lotteria e dunque frutto di una selezione naturale che ha assemblato a casaccio pezzi alla meno peggio. Due le strade: credere ad un ordine nelle cose o credere all’onnipotenza del cieco Caso, quel Caso ormai divenuto oggigiorno un’altra Provvidenza, con cui si taglia corto per spiegare ogni cosa, comoda pezza a colori per eludere qualunque idea di ordine sia naturale che di rimando sociale e nella vita degli uomini. Si può dire, infatti, che se un ordine fondato sull’idea non casuale dell’origine di tutto non può che essere monarchico, l’idea, propria all’atomismo, che nell’universo ogni cosa sia per caso, non può che sfociare politicamente nell’anarchia e nel caos sociale.
Ma è nota l’osservazione dell’astronomo britannico Fred Hoyle, secondo cui le probabilità che un processo casuale metta insieme un essere vivente sono analoghe a quelle che una tromba d’aria, spazzando un deposito di robivecchi, produca un Boeing 747 perfettamente funzionale. E con le parole di un componimento di Giorgio Baffo, poeta erotico veneziano possiamo infine concludere: «Che i Atomi abbia fatto el Mondo a caso, / Come hà scritto el filosofo Epicuro, / La xe una cosa falsa de seguro, / Né son del so sistema persuaso».