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Riletture/2. I nazionalrivoluzionari europei, Venner e il sessantotto di Parigi

by Antonio Lombardo
5 Febbraio 2016
in Cultura
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La rivista movimentista L'Orologio
La rivista movimentista L’Orologio

Apriamo “Le Monde”, per leggere le dichiarazioni di Von Thadden: “La nostra richiesta di una liberazione dell’Europa dalle potenze straniere all’Europa fa paarte di una politica che mira alla formazione di un sistema di sicurezza europeo. Anche il ritiro delle forze militari americane, non sarà possibile che in tale contesto. D’altronde la NATO dovrà essere sciolta in ogni caso quando il trattato verrà a scadere l’anno prossimo, secondo la politica sostenuta dal generale De Gaulle. (…)”.
Assolutamente giusto. Osserva Jean Paul, se in ogni paese i nazionalisti non imbecilli sono d’accordo, che le frontiere intereuropee sono finite, che il nemico è altrove, che è necessaria una forza economica e una forza militare europea integrata, e quindi una forza politica unica, perché non si riesce a fare un partito nazionalista europeo, un partito o movimento solo in tutta l’Europa? Non ti scaldare, Jean Paul, prima o dopo si farà. Lascia fare ai menscevichi. I bolscevichi vengono dopo. Noi, bolscevichi del nazionalismo europeo, verremo dopo i gollisti.
Parigi, 6 maggio. Il corteo ondeggia disordinato, perde e riacquista frange che scavalcano i cordoni del servizio d’orine; fotografi corrono qua e là, col bracciale rosso e blu della stampa bene in mostra. Finalmente, si mette in marcia verso il Senato, quattromila studenti, avanti i dirigenti sindacali dell’UNEF, decisi a dare alla manifestazione un carattere ‘pacifico e democratico’, in mezzo i cinesi, gli anarchici, i nazionalisti europei, decisi a tutt’altro.
10277130_930074197047309_8763114585748147823_nSolite grida davanti al Senato, si gira e si rigira, rue Guy Lussac, Panthéon, rue Monge, on tourne en rond, stiamo facendo il giro di Parigi, a che serve, si domandano ad ogni fermata gli studenti. I dirigenti dell’UNEF si sbracciano a spiegare che l’importante è far vedere alla cittadinanza che gli studenti in agitazione son tanti; sì, ma poi? Andiamo seminando zizzania, Francis distribuisce l’ultimo numero de “La Nation européenne” con la copertina sulla Palestina a un gruppo di studenti egiziani, io spiego il mio articolo sul colonialismo finanziario a due studenti di Sciences Politiques. I soliti slogans, liberez nos camarades, CRS-SS e ta-ta-ta tàtàtà, i battimani rimici che cadenzano gli slogans. Ma ragioniamo, les gars, riaprire la Sorbona che Roche (il rettore) ha fatto chiudere, va bene; che non si prendano provvedimenti contro Cohen Bendit e gli altri anarchici di Nanterre minacciati d’espulsione, ma siamo tutti qua per questo? E’ una mattina che corriamo dietro a gente che non sa che farci fare. Finalmente ci portano davanti alla facoltà di Scienze. L’UNEF dice: facciamo una manifestazione dentro, tutti gli altri: no, andiamocene. Francis lancia: “A l’ambassade americaine!” ma l’invito cade per ora nel vuoto. Tira e molla, la massa entra ed esce dai cortili della facoltà, finalmente i cinesi dicono che in ogni caso il corteo lo cintinuano per cotno loro. Ci precipitiamo in prima fila, facciamo il cordone. Le camere della TV ci fanno il primo piano. Intanto, gli studenti stanno venendo fuori, l’UNEF non sa che fare, poi decide di venire fuori; il corteo riparte, si sonda lungo i quais, passa sulla rive droite.
Qualche pietra contro il commissariato di polizia dello Chatelet – ma state fermi, imbecilli. Finalmente nel Boulevard de Sebastopol. Tous à l’ambassade americaine scandiamo noi. Gli anarchici, ai quali ho detto di essere uno dei capi (sic) del Movimento studentesco italiano, mi presentano al capo dei trotzkisti. Senza ridere, gli faccio una lezione di leninismo (….).
Finalmente svoltiamo a sinistra, c’è il consolato del Nordvietnam, i cinesi scandiscono ‘Vietnam vaincra’, Francis e gli altri nervosissimi, cominciano a gridare, ridendo ‘Mais il a déja vaincu’, ha già vinto, andiamo piuttosto a Place de la Concorde, davanti all’ambasciata americana. Macché, non ci sentono. (….)
La sera alle nove scoppiano i primi incidenti, poi le barricate a Saint Germain des Prés, autobus di traverso, barricate con auto rovesciate, il pavé disselciato, volano ciottoli a migliaia. L’UNEF è stata scavalcata, gli estremisti hanno preso il sopravvento, vengono fuori i caschi da motociclista e i giacconi e bastoni di ogni genere. Sono rifugiato sulla porta dell’Hotel Taranne con Martine, ragazza mia guarda che ti ammazzano. Non si vede a venti metri, tanto è fitta la coltre di gas lacrimogeni. A un certo punto i CRS si dispongono in formazione a testuggine, sembra di vedere la testuggine romana dei filmoni storici, gli scudi quadrati disposti a cerchio e a cupola, le punte dei lunghissimi bastoni che vengono fuori, gli elmi luccicano, la massa si lancia avanti a passo di corsa, i pantaloni blu delle uniformi brillano, è bello come le grandi parate, ma quando te li vedi passare davanti è pauroso, mai visto niente di simile, i carabinieri sembrano educande.
Bilanci: ottocento feriti accertati, ma in realtà sono almeno milleduecento. Non so perché la stampa italiana minimizza i fatti, quando poi darà una importanza spropositata a quelli di giovedì e venerdì.
Non sappiamo ancora che piega prenderà la cosa, noi vorremmo indirizzarla contro il partito comunista ortodosso, contro la socialdemocrazia, contro gli americani; ma temiamo che anche il gollismo ne farà le spese. D’altronde, meglio cavalcare la tigre che stare a guardare. Comunque domattina “France Soir” parlerà della presenza di elementi di estrema destra nella manifestazione.
E’ troppo poco, forse tutto il vantaggio andrà ai cinesi, ma bisogna pur cominciare, dice Francis. E’ vero, anche in Italia in fondo è stato così, che credi, la maggior parte dell’opinione pubblica crede che a Valle Giulia ci fossero i comunisti. Sai che “Il Borghese” ha attaccato Caravella e Primula per questo? Solo “L’Orologio” li ha sostenuti. Bel giornale, très bien fabriqué, che diffusione ha attualmente, dovrebbe ingrandirsi.

Dominique Venner e Mishima
Dominique Venner e Mishima

Parigi, 8 maggio. Dominique Venner raddrizza la teiera che ha rovesciato con un gesto improvviso del braccio, ricomincia a parlare con l’abituale timbro duro e sonoro. Tranne i corti capelli più grigi, è lo stesso di due anni, quando all’Hotel Moderne assistevamo alla costituzione del Mouvement Nationaliste du Progrès di un anno e mezzo fa, quando parlavamo nel salone della Mutualité per il decimo anniversario della rivoluzione ungherese.
Nel 1962, Venner, in carcere, aveva scritto “Per una critica positiva”, un libretto che, sulla falsariga del leninista “Che fare?”, rivedeva criticamente le esperienze politiche della battaglia dell’Algeria francese e proponeva nuovi temi e nuovi metodi. Dopo l’esperienza del MNP, di cui è stato fondatore e leader, e che ha lui stesso volontariamente sciolto nel luglio scorso, Venner sta studiando la stessa tematica a un livello più approfondito. Dopo la critica politica e metodologica, la riflessione sociologica e storica.
“La politica si fa con i grossi raggruppamenti; ma perché si possa arrivare a questi, è necessario che le minoranze di partenza abbiano apertura mentale, capacità di dialogo coll’ambiente nel quale vivono, dinamismo non solo attivistico ma anche immaginativo.” (….)
Guardo Venner con sincera ammirazione. Aver lavorato cinque anni (dopo di 12 di milizia politica e uno di carcere) alla formazione di un movimento, che aveva pubblicazioni, una libreria, uomini in tutta la Francia (ora tutto è disperso in una decina di circoli e federazioni e gruppetti), e rinunciarvi volontariamente, frantumarlo lucidamente, non è da poco. Soprattutto se se ne valuta il costo in termini umani, di delusioni sconvolgenti, di amarezze indicibili (….).
Non c’era possibilità di riconversione interna? “Bisogna dire che una buona parte dei militanti era praticamente impermeabile a ogni influsso: non percepiva le tesi della direzione. Ti ricorderai del seminario di quadri del novembre ’66 – faccio un cenno di assenso – dove avevamo spiegato con estrema chiarezza ciò che si doveva fare nel ’67? La maggior parte dei militanti ha funzionato da freno a quelle consegne politiche, ci sono delle idee fisse che fanno da supporto inconscio a ogni azione. Dobbiamo liberarcene, teniamoci solo quelli che possono pensare, gli intellettuali, gli universitari, i responsabili migliori; ma anche loro – e io per primo – debbo pensar ancora, ci vorranno anni, forse due, forse cinque, i collegamenti li terrà la rivista “Nouvelle Ecole””.
Non sa ancora della pubblicazione della mia tesi di laurea. “L’estremismo di destra”, cinquecento pagine di analisi sociologica, c’è il capitolo sulla Francia, si parla anche del Movimento ma Fabrice Laroche non te ne ha parlato?
Spiego l’intuizione dell’Orologio in materia, la posizione di Caravella nelle agitazioni universitarie (….).
Una organizzazione universitaria di nazionalisti europei, rivoluzionaria, con una pianificazione ideologica e programmatica comune, non è possibile? Certamente, ma prima in ogni paese ci vuole un ambiente umano maturo. C’è certamente una presa di coscienza, ora bisogna lavorare”. (da L’Orologio, dall’archivio di Amerino Griffini)

@barbadilloit

Antonio Lombardo

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