Alberto Simeone è andato avanti. Storico avvocato beneventano, è stato per due legislature parlamentare di Alleanza Nazionale, dopo aver militato nel Msi. E’ ricordato per la Legge Simeone, un dispositivo di indiscussa umanità che consentiva ai condannati – per una categoria di reati ben identificata – di scontare la pena con misure alternative al carcere. Questa tesi politica al tempo fece scalpore. I reazionari della destra – a partire dal pescatore di occasioni Gianfranco Fini – lo scaricarono (e non lo ricandidarono). Ma tanti giovani missini, studenti di legge (del Fuan di Bari), studiarono il provvedimento e realizzarono approfondite tesi di laurea sull’argomento, come dovrebbe avvenire in partiti che affrontano i temi più delicati con accuratezza e densità di studio. Del resto solo dei politici spregiudicati e senza decoro potevano esprimere solidarietà pelosa per i detenuti politici postfascisti o per i sodali parlamentari al centro di inchieste salvo invocare subito dopo il rigore del carcere duro senza distinzioni per sventurati scivolati in piccole condanne.
A Simeone il coraggio e la coerenza non mancarono mai. Non a caso fu tra i pochi parlamentari postmissini (insieme a Enzo Fragalà e Francesco Storace) che accolse il cantante e leader politico Massimo Morsello al rientro in Italia “dall’esilio” a Londra.
Simeone spiegò così a Repubblica la sua legge
Dall’archivio di Repubblica (1999): “La Simeone si inserisce sulla scia dell’ ordinamento penitenziale, che risale al ‘ 75, e della Gozzini, che è dell’ 86: è solo la terza tappa di un percorso fondamentale verso l’ affermazione di semplici principi di civiltà giuridica. In Francia sono possibili pene alternative per condanne fino a cinque anni”. Qui, invece, fino a quattro. “No, fino a tre anni. Questo limite sale a quattro solo in caso di mamme con figli piccoli, di giovani sotto i 21 anni e di ultra sessantenni, ma soltanto in particolari condizioni. Restano esclusi i condannati per reati di particolare gravità. E, soprattutto, D’Alema dimentica che ogni istanza di scarcerazione viene sottoposta al vaglio dei tribunali di sorveglianza. Anzi, proprio l’ alto numero delle richieste respinte mi porta a dire che la Simeone di fatto viene vanificata”. Colpa dei magistrati? “Le cito solo qualche caso: un sessantaquattrenne condannato con sentenza definitiva a 15 giorni di carcere per oltraggio a pubblico ufficiale, al quale è stata negata la scarcerazione. O un altro, condannato a tre mesi per assegni a vuoto: istanza rigettata, nonostante il carattere così poco offensivo del reato, perché c’ era il rischio di reiterazione. Certo, gli scarsissimi organici dei tribunali di sorveglianza non aiutano. Per vagliare un’ istanza impiegano fra i quattro e i cinque mesi”. Insomma, la Simeone di fatto non viene applicata? “In questi primi sei mesi, solo 500 detenuti hanno lasciato il carcere grazie alla nuova legge. A Palermo, su 1.750 istanze, il tribunale di sorveglianza ne ha accolte appena 55”. Resta l’emergenza criminalità di questi giorni. “Ma la Simeone cosa c’ entra? è un problema di ordine pubblico. Se le forze dell’ ordine non sono in grado di assicurarlo, per carenze di organico o altro, è il ministero dell’ Interno che va messo sotto accusa. Non la mia legge”.