«Il popolo non crede ai cultori delle cedole bancarie. Crede all’azione, a chi gli indica le vie del destino. Crede soprattutto a chi gli aprirà le strade vere della giustizia sociale». Ai tempi dell’incertezza ineluttabile elevata a sistema, del precario come categoria antropologica incapace di qualsiasi stabilità, non solo lavorativa ma esistenziale, chissà se la fiducia di Filippo Corridoni sarebbe ancora ben riposta. Dopo un secolo, la sua figura continua a essere scomoda: testimonianza è la recita di anacronistica intolleranza andata in scena sabato a Corridonia, città natale del sindacalista che deve il suo nome al suo figlio più illustre, dove il sindaco Nelia Calvigioni ha pensato bene di negare una sala del Comune agli organizzatori della presentazione della ristampa di “Sindacalismo e Repubblica”, edito di recente da Idrovolante edizioni e curato da Paolo Martocchia, in base a chissà quale paradossale ortodossia al politicamente corretto. L’incontro si è tenuto lo stesso, alla faccia di chi rinnega la storia e persino il nome che porta la propria terra.
Ma l’attenzione che il sindacalista rivoluzionario ha risvegliato – merito in parte del recente centenario della morte, avvenuta il 23 ottobre 1915 in una trincea del primo conflitto mondiale – sembra suggerire l’insopprimibile bisogno di autori e testi che richiamino l’urgenza di giustizia sociale e la necessità di superare schemi dualistici sempre più sorpassati rispetto alle domande che pone la contemporaneità. In pochi mesi, oltre la ristampa curata da Idrovolante edizioni, sono usciti due volumi dedicati all’agitatore marchigiano: “Filippo Corridoni- Sindacalismo e interventismo. Patria e lavoro” (edizioni I libri del Borghese), di Mario Bozzi Sentieri, e “Filippo Corridoni. Un sindacalista rivoluzionario (edizioni Circolo Proudhon), di Luca Lezzi.
In particolare, quest’ultimo volume si pone come un breviario corridoniano snello e centrato, capace di introdurre al pensiero del sindacalista rivoluzionario, anche grazie all’appendice in cui viene riproposto “Sindacalismo e Repubblica”, sulla base della convinzione che «la riscoperta e l’attualizzazione del pensiero di Filippo Corridoni passano anche per i motivi che lo hanno relegato all’oblio». Facile indovinarli, i motivi dell’oblio a cui si riferisce Lezzi. Crocevia del pensiero di Mazzini e Sorel, convinto che «il sindacalismo poggia le sue fondamenta economiche su Marx, ma ha avuto l’alito vivificatore da Proudhon», Corridoni fu uno degli ispiratori del “progetto mancato”, per dirla con Giuseppe Parlato, della sinistra fascista, nonostante il regime ne avesse fatto mito più per l’eroismo della sua morte che per le idee professate in vita. “Chi ha del ferro, ha del pane”: la frase del socialista Blanqui che campeggiava sulla prima del mussoliniano “Il Popolo d’Italia”, resta una delle migliori sintesi di quella temperie.
Partecipe delle intemperie di inizio Novecento, oratore eccezionale e nemico di ogni riformismo, fondatore con Alceste De Ambris del sindacalismo rivoluzionario in Italia e sodale di Mussolini nella battaglia del socialismo interventista, riuscì a sposare la lotta per i diritti dei lavoratori con un patriottismo rivoluzionario, fino a perdere la vita in guerra, fedele a una morte eroica che aveva presagito pochi mesi prima in una lettera: «Io rimarrò sempre il Don Chisciotte del sovversivismo; ma un Hidalgo senza ingegno, pieno soltanto di fede. Morirò in una buca, contro una roccia, o nella corsa di un assalto ma – se potrò – cadrò con la fronte verso il nemico, come per andare più avanti ancora».
Ma se il faro che Corridoni ha seguito in vita è stato l’emancipazione dei lavoratori e la mazziniana sintesi di popolo e nazione, il lascito che mantiene intatta la sua “inattuale attualità” è la capacità di andare oltre, superando gli steccati d’appartenenza a seconda delle esigenze tattiche del momento, del contesto in cui ci si muove. Facendo sintesi di pragmatismo e idealismo, come avvenne per Corridoni e Mussolini dinanzi alla svolta interventista. A tal proposito scriveva il sindacalista: «Oggi invece che la guerra europea ed il nostro atteggiamento ci hanno messo definitivamente fra gli eretici; oggi che ogni uomo che ha il dono della ragione crede suo imperativo dovere far la revisione delle proprie idee in confronto dei suggerimenti di tutto ciò che avviene e di quel che si matura, anche noi abbiamo creduto dissuggellare il nostro intelletto e lasciare che esso sen vada ghiribizzando fra cose sacre e profane, a scandalo dei devoti e bigotti di ogni e qualsiasi chiesa». Ai tempi in cui destra economica e sinistra culturale viaggiano a braccetto nel consolidare la figura del “precario assoluto” e il politicamente corretto soffoca qualsiasi sfregio all’ipocrisia del pensiero dominante, la figura di Corridoni invita a oltrepassare anche il fango delle proprie trincee. “Come per andare più avanti ancora”.