17 gennaio 2002. A Madrid muore Camilo José Cela, scrittore, Premio Nobel nel 1989.
Nato nel 1916, marchese di Iria Flavia, località della Galizia. Padre nobile di Spagna e madre di origini in parte italiane e in parte inglesi (della Cornovaglia).
Fu giovane militante falangista ai tempi in cui a Madrid frequentava corsi non proprio lineari all’Università: Filosofia, Medicina e Giurisprudenza.
Data 1936 il suo esordio letterario con la pubblicazione di una raccolta di poesie.
Ma quello fu anche l’anno dell”inizio della Guerra civile che lo colse a Madrid e lo costrinse ad interrompere gli studi.
Rimase in città fino ad ottobre del 1937 quando riuscì a lasciare la zona repubblicana per quella nazionale dei golpisti.
Nonostante fosse uscito non da molto tempo da un sanatorio a causa della tubercolosi, si arruolò nell’Esercito a Logroño; come sergente combatté al fronte e fu ferito in battaglia.
Collaborò alle riviste più importanti della stampa falangista: “Arriba”, “Legiones y Falanges”, “Medina”, organo della Seccion Femenina del Partito, “El Español” e a “Juventud”, settimanale del SEU, l’organizzazione degli universitari.
Partecipò nel 1940 alla redazione del libro collettivo “Laureados de España”; un omaggio a coloro che in zona “nazionale” durante la Guerra civile erano stati decorati con la Cruz Laureada de San Fernando; una composizione letteraria e poetica realizzata da 39 autori famosi tra i quali Eugenio d’Ors, Manuel Machado, Gerardo Diego, José Pemartin, Manuel de Góngora, Alfredo Marquerie. Al libro colletivo Cela partecipò con uno scritto dedicato ad Adolfo Esteban Ascensión, ufficiale di Cavalleria considerato un eroe della Guerra civile.
Durante il regime franchista il suo primo romanzo di successo “La familia de Pascual Duarte ” (1942), apprezzatissimo dai critici letterari falangisti, fu però messo all’indice da alcuni settori della Chiesa cattolica, classificato come “opera dannosa per tutti” perché “immorale”; poi, alla condanna ecclesiale seguì anche quella della censura dello stesso regime e nonostante che le difese di Cela fossero prese da Juan Aparicio, capo nazionale della Stampa spagnola.
Comunque a quel tempo Cela riuscì ancora a restare membro dei Sindicato Verticale, erede annacquato della Central Obrera Nacional-Sindicalista, il sindacato falangista.
La seconda edizione del romanzo, pubblicata nel 1943 fu addirittura vietata per un po’ di tempo.
Maggiori guai arrivarono con la pubblicazione del romanzo che da molti è considerato il capolavoro di Cela, “La colmena” (L’alveare). La Chiesa cattolica lo attaccò come “immorale”, “pornografico” e “irriverente”, una parola d’ordine che si tradusse subito in divieto politico di pubblicazione in Spagna. L’uscita del libro in Argentina nel 1951 ebbe come conseguenza l’espulsione di Cela dalla Asociación de la Prensa de Madrid e il divieto alla stampa di menzionare lo scrittore.
Situazione paradossale per lui che era stato funzionario della Stampa e Propaganda e gli sarà rinfacciato in seguito per tutta la vita di aver fatto il censore in quell’ufficio anche se in realtà il suo apporto burocratico al brutto sistema della censura si era limitato al controllo di un settore di riviste del tipo “Messaggero del Cuore di Gesù” e il “Bollettino del Collegio degli orfani dei ferrovieri”.
Difronte ad anni di attacchi alla sua scrittura considerata licenziosa e all’ennesima censura operata dal bigotto regime franchista giunse infine la reazione di Cela che colse l’occasione per andarsene dalla Spagna. Raggiunto il Sud America, in pochi mesi, con i suoi scritti, fece soldi a palate. Non riuscì però a restare lontano dal suo Paese e presto tornò in patria dove continuò a dedicarsi non solo alla scrittura dalla sua scrivania (fino in fondo fedele alla penna stilografica anche dopo l’invenzione della biro) ma fu anche pittore, attore cinematografico, torero e gran camminatore, pellegrinando a piedi la Spagna in ogni direzione.
Nel 1957, grazie all’intervento di Pio Baroja, fu accolto nella Real Academia Española assieme al suo vecchio camerata falangista Juan Antonio de Zunzunegui, altro autore di successo e vincitore di premi letterari.
Come molti altri falangisti, intellettuali e non, fu in contrasto con il Regime conservatore instaurato dal Generalissimo. Una crescente disillusione, in molti casi giunta al conflitto aperto, iniziata già dai tempi della guerra quando l’unico membro della Direzione falangista sopravvissuto, l’operaio Manuel Hedilla era stato condannato a morte per essersi opposto al Decreto de Unificación del 1937 (che di fatto annullava ogni potenzialità rivoluzionaria in quella che diventerà la dittatura franchista del Movimiento Nacional), una condanna poi commutata nel carcere a vita che scontò fino al 1947 e infine in un silenzioso ostracismo fino alla morte; un contrasto che aveva visto il progressivo allontanarsi anche del più importante poeta e scrittore falangista della Generazione del ’38, Dionisio Ridruejo che era stato tra gli autori del testo di “Cara al sol”; fino ad arrivare al colpo di pistola nel 1969 che si sparò alla testa Francisco Herranz, ex fondatore della Falange di Avila, suicida sulla scalinata della chiesa di Plaza de la Villa de Paris a Madrid, dopo aver gridato “Siamo stati traditi!”.
Nel 1974 a Cela fu proposto di diventare Rettore dell’Ateneo di Madrid ma rifiutò per protesta contro la condanna a morte dell’anarchico Salvador Puig Antich, ultimo garrotato, figlio di un esule anarchico che nel 1968 era passato dalle Comisiones Obreras alla lotta armata contro il regime franchista.
Dopo la morte di Franco, Cela fu nominato dal Re Juan Carlos senatore del Regno.
Nella maturità affiancò all’opera poetica e al romanzo anche quella di commediografo e di autore di libri di viaggio. Il bilancio finale sarà di dieci romanzi e quasi un centinaio di saggi, racconti di viaggio e raccolte poetiche.
Il suo romanzo “Mazurca para dos muertos” del 1983, ottenne il Premio Nacional de Literatura l’anno successivo. Del libro ci fu anche una versione italiana curata dall’editore Frassinelli.
Nel 1989 la giuria svedese gli assegnò il Premio Nobel motivandolo con l’essere stato complessivamente, con la sua produzione , il vero innovatore del linguaggio letterario spagnolo. L’assegnazione del più ambito premio internazionale scatenò una quantità di polemiche superiori alle solite che accompagnano le decisioni svedesi. Quella volta, contro Cela venne fuori di tutto, dal passato politico falangista alle accuse di essere una macchina per far soldi; ci fu chi giunse a dire che la notizia della sua vincita di quel premio era la peggiore che la letteratura spagnola potesse ricevere. Al solito, lo scrittore replicò facendosi beffe dei suoi contestatori, rinviando le loro stupidità a dopo la sua morte. “E quel giorno mi piacerebbe poter pronunciare la frase del generale Narvàez sul letto di morte: Non ho più nemici perché li ho eliminati tutti”.
Nel 1994 con il romanzo “La crus de San Andreas” vinse il Planeta, uno dei premi letterari spagnoli più ambiti. Poi fu la volta del Premio Miguel de Cervantes e del Premio Príncipe de Asturias.
Abbonato alle polemiche e alle critiche – contrasti ci furono anche con l’italiano editore Einaudi – faceva mostra di non curarsene affermando “Dovunque vada, lo scandalo mi segue”.
Nel 1998 l’ultima polemica da vivo, davvero “politicamente scorretta”. Durante le commemorazioni di Federico Garcia Lorca, irritato per quella che considerò una eccessiva presenza degli omosessuali attorno al cadavere del poeta nel centenario della nascita, fece affermazioni che provocarono le proteste della stampa e delle associazioni gay alle quali rispose rincarando la dose e nella querelle ancora una volta venne fuori di tutto contro di lui, dal fatto che settantenne viveva con una bellissima trentenne all’aver curato la pubblicazione di una Enciclopedia delle parole oscene (e dell’erotismo) nella lingua spagnola (il “Diccionario secreto”), riuscendo a riempirne ben tre volumi. Intendiamoci, non una banale elencazione di volgarità ma una seria ricerca etimologica. Ma i contrasti con il mondo omosessuale dovevano essere di antica data visto che negli anni ’50, al ritorno dalla sua fortunata esperienza latinoamericana, un litigio in un ristorante, trasformatosi in clamorosa rissa nella quale rimase ferito a colpi di rasoio, ebbe origine proprio dalla sua insofferenza per l’esibizione di un omosessuale.
Polemiche lo accompagnarono anche dopo la morte, guerre legali di tutti i tipi, da quelle della ex moglie che accampava diritti sull’eredità, valutata in molti miliardi di pesetas, che invece erano nella disponibilità della giovane compagna a chi lo accusò addirittura di plagio.
La più antica e curiosa delle sue controversie, che merita di essere citata qui, riguarda una tela di Joan Miró. Cela negli anni ’70 aveva acquistato un quadro convinto che fosse del famoso pittore ma quando questi lo vide gli disse che non era una sua opera. Sentendosi beffato, lo scrittore afferrò un coltello e squarciò il quadro, Miró lo restaurò aggiungendo anche le sue pennellate e la dedica “In ricordo di una falsa tela pugnalata che ha fatto nascere un’opera autentica. L’amico Miró”. La polemica non fu però per il quadro in sè ma si scatenò in famiglia, protagonista questa volta il figlio dello scrittore, docente universitario di Filosofia, motivo fu la proprietà del quadro dalla valutazione miliardaria dopo l’intervento di famoso pittore. (dal gruppo Fb Effemeridi del giorno)