Enrico Brizzi, scrittore classe 1974, è stato da subito, per un’ampia schiera di giovani lettori anni ’90, punto di riferimento generazionale, contemporaneamente popolare ed alternativo, leggero e godibile senza mai risultare effimero o evanescente. Merito di quell’esordio col botto intitolato Jack Frusciante è uscito dal gruppo, edito nel 1994 e rammentato dagli attuali quarantenni (lo scrivente, che lo usava per alternare Nietzsche alla realtà) con qualche nostalgia di troppo, forse strettamente collegata agli imprevedibili scatti in avanti dell’anagrafe, forse perché nel frattempo il mondo (moderno) è diventato un brutto posto in cui vivere. Usciva quell’anno Definitely maybe degli Oasis, per dire, e sembra ieri. Ma tornando al libro: si trattava, su quelle pagine, la fine dell’adolescenza e tutto il disincanto conseguente alle cose – le prime di una lunga serie – che si è costretti a perdere o a dimenticare nella vita.
Lì dentro c’erano, coagulati da un certo languore individualista, tutto il barocco terminale degli anni ’80, oltre a citazioni e riferimenti inediti che nessuno s’era preso ancora la briga di mescolare assieme: I Red Hot Chili Peppers, intuibili già dal titolo, poi Diaframma, The Smiths, Pogues, Clash, Ramones, Sex Pistols, The Cure, Il piccolo principe di Antoine De Saint-Exupery, le poesie di Edward Estlin Cummings, Pier Vittorio Tondelli e Andrea Pazienza. Ma soprattutto, a far da sfondo alla storia d’amore tardo adolescenziale di Aidi ed Alex, c’era una Bologna affettiva e post-ideologica, così poco “da cartolina” in quanto vissuta intensamente, ispezionata a fondo proprio partendo dall’istituzionale liceo Galvani. Una città, se non diversa dai suoi noti stereotipi inevitabilmente ereditati – quella nostalgica di Pupi Avati o quella tutta politica delle radio libere e del ’77 – certamente vista con occhi nuovi e narrata con abile disincanto.
Fu un successo clamoroso, trasformato maldestramente in film nel 1996 con protagonista Stefano Accorsi, che la critica faticherà a perdonargli. Enrico Brizzi, tuttavia, pur continuando a scrivere ottimi libri – Bastogne (che contribuì a definire l’estetica Pulp: a metà anni ’90 non si parlava d’altro), Tre ragazzi immaginari (ancora Robert Smith e soci, dietro al titolo), La vita quotidiana in Italia ai tempi del Silvio, L’arte di stare al mondo o l’ultimo Il matrimonio di mio fratello – riuscirà a divincolarsi abilmente dalle ciniche logiche che presiedono l’hype mediatico, apparentemente quasi impermeabile ai giudizi negativi e, ancora più saggiamente, alle ossequiose partiture prestampate dalla critica letteraria, quest’ultima in entrambi i casi sempre così conformista e prevedibile. Deve aver pensato, lo scrittore bolognese, al momento degli autografi in favore di flash: “esco a fare due passi”, nella convinzione esattissima che bastasse una camminata in campagna o sulle colline per scrollarsi il peso delle marchette, l’onere dolciastro dei convenevoli che la notorietà impone ai novizi. Fra tutti i pedaggi, per un giovane scrittore, c’è pure quello assillante di dover stare al passo ci tempi. Ma dipende sempre quali: passi e tempi o passatempi?
E fu così che quei due passi diventarono decine, centinaia, migliaia, milioni, il tutto evitando accuratamente l’aspetto pedagogico e un po’ cyborg che presiede l’attività sportiva moderna. Tornarono così ad essere calpestate e narrate con un certo senno la via francigena, l’altopiano di Asiago, la linea gotica, le antiche strade del sale, gli argini dei fiumi, i sentieri di montagna, privilegiando, grazie alla metodica caparbietà del viandante, i tragitti rurali di cui è fatta l’Italia, a discapito delle città, con le quali cerca maldestramente di assomigliare al resto del mondo. Brizzi, tifoso del Bologna Football club e già scout, riuscirà a rendere seducente l’arte d’andar camminando, anche grazie allo stile retrò e un po’ mod’s, fatto di araldica da confraternita agonistica, francobolli rivisitati, vessilli e magliette in stile primi del ‘900. Si alterneranno così racconti sullo sport più famoso – Il meraviglioso giuoco. Pionieri ed eroi del calcio in Italia (1887-1926) – a resoconti affascinanti sulle escursioni podistiche degli psicoatleti (“… e Valsecchi si stupì di quanto fosse vasta e sconosciuta la Patria, quando tocca attraversarla a piedi”); come nel caso di Italica 150, tragitto a piedi per strade minori dall’Alto Adige alla Sicilia, in occasione dell’anniversario unitario nazionale.
Ma il viaggio di Enrico Brizzi, più simile ad un pellegrinaggio culturale e patriottico per “camminatori moderni” (dopo Goethe e Piovene) che all’ansia performativa dei salutisti, ha toccato curiosamente anche tappe ucroniche. Partendo dal romanzo L’inattesa piega degli eventi (Baldini Castoldi Dalai, 2008) – ambientato negli anni ’60 della pax romana e fascista, dopo la vittoria nella seconda guerra mondiale da parte del regime mussoliniano, rimasto antigermanico e quindi alleato degli anglo-americani, con la monarchia sempre traditrice in favore di Hitler, però – verranno narrate le gesta del giornalista Lorenzo Pellegrini, spedito dalla burocrazia nelle colonie littorie africane, per rendere conto del locale campionato di calcio. Il clima torrido, esotico ed indolente, assecondato dal riflessivo protagonista, è reso meravigliosamente dalla narrazione sapientemente verosimile. Tra “Sport littorio” e “Corriere d’Etiopia”, letture al Caffè Impero in cerca di una limonata all’ombra, negre lascive ed import-jazz, tribalismi locali ed architettura fascista nuovissima, con islamici furbi e Asmara birra Venturi (“che è benzina per cazzi duri”), Audax contro San Giorgio e la palla che corre sulla terra bruciata, Albertazzi e Gassman, Salgari e Pratt sullo sfondo, si intrecciano le vicende di una borghesia costretta al formalismo antiborghese delle parole d’ordine, blandamente inquadrata da una retorica rimasta in piedi, assieme a tutto l’immaginario simbolico ed estetico fascista.
Al libro seguirà La nostra guerra (Baldini Castoldi Dalai, 2009), antefatto decisamente meno scanzonato, vissuto dal bimbo Lorenzo nella Bologna del 1945. Qui l’autore, ribaltando in qualche modo grazie alla fantasia lo scacchiere bellico, racconta l’epica insurrezionale di un’Italia senza guerra civile tra rossi e neri, ma bensì costretta a stringere i denti dinnanzi all’avanzata poderosa ed apparentemente inarrestabile dei (sempre cattivi) nemici tedeschi, con la Valle del Po occupata e la resistenza fascista impegnata a contrastare l’invasione con ogni mezzo. A completare la trilogia, nel 2012 è uscita l’edizione limitata fuori collana di Lorenzo Pellegrini e le donne (Italica edizioni) incentrato sulla vita privata di un protagonista al quale è difficile non affezionarsi.
In conclusione, ci piace riportare alcune frasi di Enrico Brizzi, tratte da un’intervista del 2011: “Tutti noi siamo cittadini di uno stato giovanissimo ma siamo figli di un popolo molto antico, che ne ha viste di tutti i colori, che ne ha fatte di tutti i colori, e tra tutte quelle che ha fatto ha inventato le strade; quindi siamo letteralmente sui passi di chi ci ha preceduto – di chi le strade le ha esportate in maniera brillante in tutta Europa, nel bacino del Mediterraneo – e questo è uno dei motivi per cui potremmo essere fieri del nostro passato anche senza avere alcuna simpatia per chi si mette un fez in testa, o rimpiange le aquile romane.”
@barbadilloit