Più che baloccarci con utopiche forme di governo ideale o entusiasmarci per schieramenti geopolitici -per ora- lontani dal nostro orizzonte quotidiano, ritengo utile confrontarci con l’asfissiante melassa del politicamente scorretto che sta pervadendo ogni ambito della nostra esistenza. Dall’asilo alla tomba siamo soffocati da obblighi e regole di comportamento che ci invitano a dimenticare la realtà per adeguarci al mondo alla rovescia impostoci dalle nuove vestali, pronte a chiamare la (psico)polizia in caso di infrazione.
E’ quindi con grande stupore che ho trovato tra gli scaffali delle librerie il libro di Jonathan Gottschall Il professore sul ring, edito da Bollati Boringhieri (pagg 330 € 23), che consiglio caldamente tanto per l’argomento trattato che per le brillanti considerazioni sull’identità maschile disseminate in tutto il libro. L’autore è un disilluso insegnante di letteratura inglese che lavora in un college della Pennsylvania: a quasi quarant’anni ha visto sfumare la prospettiva di una carriera accademica, e, mentre pensa come trovare una via d’uscita allo stallo che è anche esistenziale, oltre che accademico, viene folgorato dalla palestra di Mixed Martial Arts che aprono proprio davanti al suo college.
Avendo già pubblicato un saggio accademico sulla violenza nella storia, che aveva registrato un discreto, anche se effimero, successo, Gottschall decide di scrivere un libro sulle motivazioni che spingono gli uomini a combattere: una specie di approfondimento accademico di Fight Club, insomma. Per farlo, si iscrive alla palestra dove ragazzi molto più giovani e soprattutto meno colti di lui imparano a battersi senza esclusione di colpi. Con sua grande sorpresa, il professore si trova immerso in un mondo lontanissimo dalle sue aspettative, e assai più affascinante: un mondo dove il coraggio e l’onore valgono più della vita, dove il cameratismo non è una parola retorica, dove la violenza non è tabù, ma una semplice regola della vita, applicata in ogni ambito da ogni creatura. L’uomo, essendo dotato di intelligenza, l’ha semplicemente codificata, mettendola sotto controllo con l’arte della guerra o le regole del duello, rendendone così le conseguente molto meno gravi di quello che comporterebbe negarne l’esistenza. Una lettura scorrevole, appassionante e rigenerante, che potrebbe suggerisce una originale battaglia per i diritti (in)civili: il diritto a battersi.
Perché non provare/provocare a raccogliere le firme necessarie a legalizzare il duello?