«L’Europa si farà solo sull’orlo della tomba». Le parole di Nietzsche riecheggiano come minaccia e speranza tra le pagine dell’ultimo libro del filosofo Alain de Benoist edito da Arianna editrice: “Il Trattato Transatlantico: l’accordo commerciale Usa-Ue che condizionerà le nostre vite”. Un’Europa indipendente, garante delle diversità dei popoli e soggetto politico autonomo, ben lontana dall’attuale tecnocrazia che guida l’attuale Unione europea non sarà più possibile se passerà il Ttip, autentico colpo di grazia alle aspirazioni di una costruzione europea non basata sul denaro ma su una finalità comune ai diversi popoli del Vecchio continente.
La trappola del Ttip
Il primo capitolo del volume è dedicato nello specifico al Ttip, riprendendo le osservazioni già enucleate dal teorico della Nouvelle droite in “La fine della sovranità”, sempre edito da Arianna. In un’ambigua segretezza che già puzza di imbroglio, quel poco che si conosce sui contenuti disegna il tentativo di «istituire, procedendo a una deregolamentazione generalizzata, una gigantesca zona del libero scambio, che corrisponde a un mercato di oltre ottocento milioni di consumatori, alla metà del Pil mondiale e al 40% degli scambi mondiali; in sintesi, è la creazione della più ampia zona di libero scambio del mondo, grazie all’unione economica e commerciale dell’Europa e degli Stati Uniti». Appare addirittura superfluo aggiungere che si tratterebbe di una fusione di mercati, regole e diritti che prenderebbe a modello il sistema statunitense, facendo arretrare l’Europa a «cortile di servizio» degli States.
Le liberalizzazioni hanno bisogno di eliminare le barriere: non solo quelle fisiche ma soprattutto gli argini costituiti dalle tutele, in campo alimentare, sanitario, ambientale e sociale, che in Europa resistono, anche se a fatica e sotto i colpi della mondializzazione. I rischi sono noti. Nel campo alimentare si assisterebbe «all’arrivo massiccio di prodotti a basso costo dal mercato agroalimentare americano: carne bovina agli ormoni, carcasse di carni cosparse di acido lattico, pollami allevati con clorochina, carni addizionate con il cloridato di ractopamina, organismi geneticamente modificati». Le denominazioni di origine controllata, molto forti soprattutto in Francia e in Italia, scomparirebbero perché non previste dall’ordinamento americano. Sui servizi pubblici, il rischio che “l’apertura” ai mercati possa portare a progressive privatizzazioni di ospedali, scuole, università e previdenza sociale è concreto. Ma l’elemento più esplosivo della negoziazione è individuato da de Benoist nell’istituzione di un «arbitraggio delle controversie tra Stati e investitori privati». Un meccanismo che permetterebbe «alle imprese multinazionali e alle società private di trascinare davanti a un tribunale ad hoc, per ottenere il risarcimento dei danni, quegli Stati o quelle collettività territoriali che facessero evolvere la loro legislazione in un senso giudicato nocivo ai loro interessi o di natura tale da restringere i loro benefici». Una ferita mortale per la stessa concezione di Stato, per il filosofo, in quanto «le norme sociali, fiscali, sanitarie e ambientali deriverebbero non più dalla legge ma da un accordo tra gruppi privati (…) Si assisterebbe così a una privatizzazione totale della giustizia e del diritto».
Lo svuotamento degli Stati-nazione
Al di là del dettaglio sui contenuti, ancora oggetto di trattative più o meno segrete, le riflessioni di de Benoist risultano necessarie per comprendere il legame tra scelte economiche e sostrato filosofico e culturale che le anima. E così il filosofo spiega come il “Meccanismo europeo di stabilità” sia la necessaria premessa al Ttip perché introduce il principio della “condizionabilità” del sostegno finanziario: puoi accedere agli aiuti solo se fai le riforme suggerite: privatizzazione dei settori pubblici redditizi, cali dei salari, diminuzione della spesa pubblica. Si assiste di fatto a un vero e proprio «esproprio puro e semplice della politica economica e di bilancio, insieme a un massiccio trasferimento dei poteri dei governi instaurati democraticamente a istanze prive di rappresentatività». A livello di organizzazione statale, tale processo si esemplifica nella prevalenza della “governance”, cioè l’allineamento dell’azione pubblica all’attività privata, mentre la mondializzazione «senza centro» agisce in profondità, imponendo il mito della società civile sul popolo, uniformando costumi e stili di vita sull’altare dell’ideologia del Medesimo. Il progetto è chiaro: come il filosofo transalpino spiega con dovizia di particolari, il Ttip va letto sotto una duplice prospettiva: da un lato uniformare le regole del gioco sancendo, in maniera questa volta irreparabile, il primato dell’economia sulla politica, del potere transnazionale sulla sovranità degli Stati, dell’utile sul giusto. Ma anche, sul versante geopolitico, tentare di cristallizzare il progetto yankee di un mondo unipolare che – anche guardando alle attuali vicende mediorientali – scricchiola sotto i colpi di un multipolarismo di fatto.
La delusione dell’Unione europea
In un tale scenario, i capitoli finali del libro sono dedicati all’Europa, letta con le duplici lenti della delusione e della speranza. De Benoist individua i quattro errori essenziali commessi nella costruzione dell’attuale impianto dell’Unione europea: essere partiti dall’economia e dal commercio invece che dalla politica e dalla cultura; aver voluto creare l’Europa dall’alto invece che dal basso, con un giacobinismo accentratore che ignora il principio di sussidiarietà; l’allargamento avventato a paesi dell’Est che «parlavano dell’Europa ma sognavano l’America» e che ha scatenato «il ricatto delle delocalizzazioni»; l’ambiguità su frontiere e finalità dell’Europa.
L’Europa e l’Imperium
Ma l’attuale Unione europea, suggerisce de Benoist, va combattuta non per tornare agli Stati nazionali quanto per realizzare un’autentica costruzione europea. Dinanzi all’aumento dei fenomeni transnazionali, la forma dello Stato-nazione appare superata: per combattere la globalizzazione occorre ragionare in termini continentali. E qui non mancano critiche ai sovranisti che «sviluppano spesso buone critiche ma non apportano buone soluzioni», trincerandosi nella difesa di Stati-nazione ormai «detentori di una sovranità solo nominale» e sempre più attestati sulle stesse posizioni che si vogliono combattere. La strada è arrivare hegelianamente a una sintesi, «separando la nazione dalla Stato». Il modello a cui ispirarsi per questa fatica di Sisifo è l’Impero, che corrisponde «alla personificazione giuridica e all’espressione politica di una o più svariate comunità, fondate su solidarietà naturali diverse dalla consanguineità. Cittadinanza e nazionalità sono distinte». Superando nazionalismo, universalismo e multiculturalismo, una rinnovata concezione dell’Imperium garantirebbe il rispetto delle differenze su base federale. Facendo tesoro delle categorie schimittiane, occorre contrapporre un’Europa potenza della Terra a un modello di ispirazione atlantico quale potenza del Mare. «Questa Alleanza transatlantica è divenuta un non-senso, dopo la fine del sistema sovietico. Gli interessi europei e americani – scrive ancora De Benoist – sono strutturalmente divergenti (…) Non bisogna esitare a dirlo: si farà l’Europa solo contro gli Stati Uniti, perché questi ultimi non ammetteranno mai l’emergere di una potenza rivale». Danzando sul baratro di una fine annunciata, ci invita a riflettere de Benoist, l’Europa può salvarsi solo ritrovando se stessa.
“Il Trattato Transatlantico. L’accordo commerciale Usa-Ue che condizionerà le nostre vite” di Alain de Benoist (euro 9.80, Arianna Editrice)