nciaIn politica — quando è vera e seria — ogni gesto, ogni parola, ogni luogo ha un significato. Marine Le Pen lo sa. Intelligentemente, ha voluto attendere il risultato elettorale ad Hénin Beaumont, una città disperata simbolo estremo di una regione massacrata e impoverita come il Nord-Pas de Calais, un tempo zona di miniere e minatori, di fabbriche e operai, roccaforte del PCF e dei sindacati. Oggi l’intera regione è un deserto industriale, con un tasso di disoccupazione del 12,5 per cento, oltre due punti in più della media nazionale, il 18,1 % della popolazione è al di sotto della soglia di povertà e il Pil per abitante (17.400 euro) è più basso del Paese (dipartimenti d’oltremare compresi).
Ad Hènin Beaumont tutto ebbe inizio. Nel 2011, appena eletta presidente del Front National, Marine decise che questo comune periferico, il più difficile di una regione da sempre ostile, poteva e doveva essere la prima tappa della sua “missione impossibile”. Sfidando ostilità e paure si candidò come sindaco e poi come parlamentare. Perse la prima volta e non si demoralizzò, perse la seconda volta, sfiorando il successo, e non si rassegnò. Con caparbietà e pazienza, madame continuò a lavorare sul territorio, a costruire un programma socioeconomico credibile e un profilo di governo. Parlando con tutti, compresi comunisti delusi, gaullisti incazzati, nuovi francesi di religione islamica. Spiegando e convincendo.
Hènin Beaumont divenne presto un simbolo del nuovo corso del Front National, dell’onda “Blue Marine”, un punto centrale dello sforzo innovativo della presidente, ormai libera dell’ingombrante patriarca, e il laboratorio principale di un partito serio, capace di rompere schemi desueti o falsi (destra-sinistra, razzismo-antirazzismo, conservazione- progressismo), un movimento in grado progettare il nuovo e governare.
Ieri Hènin Beaumont ha premiato il Front con il 59,36 dei suffragi e Marine ha voluto aspettare qui i numeri della vittoria nazionale — l’FN è primo in sei regioni — e del trionfo (oltre il 40 per cento) nel Nord- Pas de Calais. La signora non si è rinchiusa in un albergo o in ristorante lussuoso, ma ha scelto d’attendere i numeri assieme ai suoi militanti — tutta gente del popolo, nessuna star ma tanti francesi normali, normalissimi — e ritrovarsi con loro nella sala comunale intitolata a François Mitterrand, il defunto presidente socialista, addobbata per l’occasione con bandiere tricolori e insegne regionali. Dopo i primi bollettini televisivi con le cifre vere e pesanti, si è levato potente e spontaneo il coro della Marsigliese. La politica è fatta di simboli.
Inizia ora per il Front e la Francia la settimana più difficile e complessa. I ballottaggi sono brutte bestie e Sarkozy — battuto ma sempre centrale — è un personaggio rancoroso e spregiudicato, capace, come Chirac, di allearsi con il rottamato Hollande pur di mantenere la primazia sui centristi e tutelare i rapporti con Medef (la Confindustria transalpina, apertamente ostile al FN).
Tocca adesso ai dirigenti del Front dimostrare cultura di governo e capacità di mediazione, maturità politica, lungimiranza e astuzia. Un compito difficile, ma non impossibile. Nulla è certo, nulla è definito, gli scenari sono in movimento e le oligarchie francesi sono in crisi profonda e, come in passato (1789, 1848, 1871, 1936, 1958, 1968…), sembrano incapaci di leggere e affrontare il mutamento in atto. Vedremo. Nei prossimi giorni su Destra.it analizzeremo, scriveremo, evitando, come sempre, ogni inutile trionfalismo e semplicismo per esplorare invece i retroscena, le inevitabili contraddizioni, le prospettive possibili.
Chiudendo, un solo dato è sicuro, netto, incontrovertibile. Ieri ad Hènin Beaumont il Front ha festeggiato una vittoria storica. In vista dell’unica elezione che conta, quella presidenziale del 2017. (da destra.it)