Ogni anno l’editoria italiana sforna in libreria centinaia di titoli di argomento sportivo: autobiografie di (presunti) campioni, storie di club calcistici grandi e piccoli, testimonianze giornalistiche, inchieste di denuncia (poche), zibaldoni di telecronisti e persino raccolte di barzellette di e sui calciatori. Al ventaglio di offerte scarseggiano però i romanzi sportivi, genere letterario tanto apprezzato all’estero, soprattutto in Gran Bretagna, che abbina il racconto di qualità con l’argomento calcistico. Tipo “Febbre a 90°” di Nick Hornby, naturalmente. O “La mia vita rovinata dal Manchester United” di Colin Shindler. O ancora lo splendido “Il maledetto United” di David Peace, dove il club richiamato nel titolo non è quello dei diavoli rossi di Manchester, bensì il Leeds United, squadra brutta, sporca e cattiva che spadroneggiò nei primi anni Settanta con Brian Clough in panchina.
Ed è proprio a questo libro inglese, a metà strada fra il romanzo e il documento giornalistico, che si è ispirato Claudio Giacchino per il suo “La cavalcata del Mondo”, cofanetto in due volumi pubblicato da Graphot Edizioni al prezzo di 23 euro. Il Mondo di cui si parla nel titolo è Emiliano Mondonico, la squadra è il Torino e il periodo preso in esame è il quadriennio 1990-1994, quando la compagine granata del presidente Gian Mauro Borsano partì dalla serie B vinta (con Fascetti in panchina) per lanciarsi in un volo breve ma glorioso, che l’ha portata a ottenere un terzo posto in campionato (oggi varrebbe la Champions League), una Mitropa Cup, una finale di Coppa Uefa persa senza però essere sconfitta (maledetta differenza reti e maledetti pali di Amsterdam…) e una Coppa Italia nel 1993.
Per trentadue anni giornalista della Stampa, cronista di “nera” e giudiziaria, Claudio Giacchino ebbe la ventura di seguire professionalmente l’epopea del Toro di Mondonico perché all’epoca era stato distaccato alla redazione sportiva. E quindi seguì di persona le trasferte su e giù per l’Italia e le scorribande di Lentini e compagni in giro per l’Europa. Oggi, a distanza di tanti anni, liberatosi dei vincoli che impone la professione giornalistica, Giacchino può dare libero sfogo ai ricordi andando al di là delle partite disputate sul campi di gioco e raccontare – un po’ come Peace ne “Il maledetto United” – i retroscena degli spogliatoi, dei campi d’allenamento, delle lunghe ore trascorse in pullman o in aereo per le trasferte. Erano altri tempi: le società di calcio non avevano ancora assunto l’aspetto di un quartier generale dell’Fbi, i giornalisti si muovevano liberamente e i giocatori parlavano senza dover aspettare le imbeccate dell’ufficio stampa.
Tanti gli aneddoti e i ricordi: la magica notte con il Real Madrid, i derby vinti grazie ai gol di Casagrande, l’immensa sfortuna della finale con l’Ajax, il caso Lentini, le traversie giudiziarie del presidente Borsano, il duo delle meraviglie Scifo e Martin Vazquez, le battaglie in campo di Pasquale Bruno e Policano fino al triste epilogo di Londra, l’eliminazione al quarti di finale di Coppa delle Coppe al cospetto dell’Arsenal. E’ la fine della cavalcata del Mondo ed è la fine di un’epoca importante del Toro. Le strade del club granata e dell’allenatore di Rivolta d’Adda si incontreranno di nuovo nel 1998, in serie B, e con Mondo in panchina il Toro ritrova temporaneamente la massima divisione, ma l’anno successivo è di nuovo retrocessione. Da lì in poi solo sporadici incontri all’insegna della nostalgia, come la triste partita all’Olimpico nel gennaio del 2011 fra un Toro ancora in serie B e l’Albinoleffe di Emiliano.
Poche settimane dopo l’allenatore del miracolo del quadriennio 1990-1994 si troverà ad affrontare la partita più difficile: un’operazione allo stomaco per rimuovere un cancro. Decine e decine di tifosi granata si danno appuntamento al Filadelfia in rovina portandosi dietro una sedia, sollevata alta sulla testa. E parte il vecchio coro: “Alzaci, alzaci, alzaci la sedia/ Emiliano alzaci la sedia!”.
“La leggenda Toro vive di alti e bassi – scrive Mondonico nella prefazione al libro di Giacchino – non è mai piatta, sempre ondulante; al Toro non piace vivere in gruppo o nel gregge. Soli contro tutti e tutto era, è e sarà l’urlo di battaglia di chi ama, in campo e fuori, i colori granata”.