La notte è il tempo magico dell’attesa, la discesa nel sonno e la vita nella sfera onirica. Al suo interno si incunea una sospensione, un altrove, un’oscurità anomala abitata da creature tenebrose. È il cielo dei giganti: la foggia di ogni emozione prospera a dismisura, sino a divenire un’entità ciclopica. È la volta nera delle ombre minacciose: angosce mutano in afflizioni inconsolabili, amori certi si fanno incerti, speranze perdono consistenza. È l’aria asfissiante della “sottonotte”, una dimensione all’interno della notte stessa: il tempo dell’insonnia. Una temporalità rivisitata da creature singolari, alchimiste dell’orologio, boicottatrici della lancetta. Mostri notturni che alterano minuti in ore, ore in giorni, giorni in mesi: il tetto dei giganti è un soffitto impressionante e minaccioso. Il tempo dell’insonne è una montagna impossibile da scalare, una dilatazione oltremodo infinita della durata, un desiderio di luce che non si fa mai giorno.
Sono delle sentinelle costrette alla sorveglianza forzata, esseri condannati alla vista incessante e allo sfiancamento mentale. Sono gli insonni, una sorta di pianeta segreto e segregato dall’abbraccio dannato della notte. Vivono sotto l’egemonia di uno sguardo obbligato a saldare la danza dei fantasmi sul tetto: un rituale uguale che si ripete ogni notte. Le ombre prendono vita, a ogni passo brandiscono consistenza e l’insonne inerme può solo agognare la caduta nell’oblio. Il tempo della pena, della tortura, dello stillicidio mentale: la temporalità nemica che affligge, tra gli altri, il filosofo e l’artista dell’aforisma Emil M. Cioran.
“Le tre del mattino. Percepisco questo secondo, e poi quest’altro, faccio il bilancio di ogni minuto. Perché tutto questo? – Perché sono nato. È da un tipo speciale di veglia che deriva la messa in discussione della nascita.”
Tale il primo passo dello scrittore ne “L’inconveniente di essere nati”: una lettura intima, un testo notturno che evoca il vagare buio della creatura vigile. Le ore insonni portano alla meditazione obbligata, intorno al tema caro a Cioran: il perché della nascita. Aforismi foschi sezionano il tragico, esplorano il dramma della vita, contemplando il suicidio come irripetibile possibilità di esistenza. L’atroce potere che l’individuo possiede nel togliersi la vita, figura paradossalmente, come unica spinta al vivere. Nella capacità di scegliere l’interruzione dell’arco vitale, risiede la libertà di restare. La consapevolezza del male di esistere, non rappresenta il rifiuto della vita, ma un campare più potente: vivere scientemente nonostante il vivere.
“Ci sono notti che il più ingegnoso dei carnefici, non avrebbe potuto inventare. Ne esci a pezzi, inebetito, sgomento, senza ricordi né presentimenti, e senza neppure sapere chi sei. Allora il giorno ti pare inutile, la luce perniciosa, e ancora più opprimente delle tenebre.”
“L’inconveniente di essere nati” abbraccia una lettura errante: il peregrinare oscuro dell’insonne. Un poggiarsi da un sentimento all’altro, all’interno di un viaggio caotico alterato dalla veglia inflitta. La vita appare più tollerabile per coloro che riescono a dormire. Il sonno rappresenta una discontinuità, una sospensione dal ricordo che rende l’esistenza possibile e meno tragica. L’insonne auspica l’oblio, la caduta nel sonno per interrompere il fluire incessante della mente nel pensiero. Gli aforismi di Cioran scompongono qualsiasi convinzione. Non distruggono; smantellano per ricreare un terreno fertile alla riflessione illuminata e lucida.
La notte insonne di Cioran è “L’ora del lupo” in Ingmar Bergman: il regista indagatore dell’inconscio, il mago del volto eloquente. La lirica di Bergman avanza per primi piani: un viso è un luogo abitato da contenuti loquaci. La morsa dell’insonnia passa dal regista al personaggio Johan Borg – Max von Sydow – in un’ isola svedese, abitata da sinistre creature. Le ore di veglia del pittore rendono definitive le nevrosi, tutto prende i colori sfumati del morboso, un bianco e nero indistinguibili nel torbido dell’incubo. Alma – Liv Ullmann – è lucente possibilità di speranza tutta nel suo volto. Nell’assenza di ambiguità figura la completezza, il materno ove rifugiarsi, il tempo del chiarore: un’immagine monumentale al pari della Giovanna D’Arco nel primo piano di Dreyer. Alma è la discontinuità, la frattura nel tempo interminabile dell’insonne. “L’ora del lupo” ripercorre il perpetuo sospiro dell’abbandono, la scomparsa dei confini tra incubo e realtà, la minaccia di un intelletto che va in frantumi.
“Un tempo la notte era fatta per dormire… già, sonni calmi e profondi e svegliarsi poi senza terrori. Da molte sere siamo svegli fino all’alba, ma questa è l’ora peggiore. Sai come si chiama? Il popolo la chiama l’Ora del lupo, è l’ora in cui molta gente muore e molti bambini nascono, è l’ora in cui gli incubi ci assalgono e se restiamo svegli…”
È un film tetro, segue uno svolgersi tortuoso nei meandri della mente: la rottura degli argini del pensiero. I protagonisti sono mostri generati dall’assenza di luce: la vita nell’oscurità è quella delle ossessioni e della memoria ininterrotta che torna solo per devastare. L’ora del lupo partorisce demoni minacciosi.
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Le tenebre, nella voce di Alma, sono silenziose sino a farsi rimbombanti: il giorno sembra appartenere a un’altra dimensione. Così Ingmar Bergman:
“Le ore peggiori sono quelle del lupo tra le tre e le cinque. Allora arrivano i demoni: l’amarezza, la nausea, la paura, il disgusto, la collera. Non serve soffocarli, s’incattiviscono. Quando gli occhi sono stanchi di leggere, c’è la musica. Chiudo gli occhi e ascolto con concentrazione, lasciando via libera ai demoni: venite pure vi conosco, so come funzionate, continuate finché non vi stancate, io non mi difendo. I demoni infuriano sempre di più, dopo un po’ ogni resistenza cessa e loro diventano ridicoli, allora scompaiono e io mi addormento per qualche ora.”
Le ore degli insonni sono dunque momenti in pasto alle fauci di una bestia. Una creatura si muove faticosamente nell’oscurità, non cerca pace, ma trova tormento. L’ora del lupo non è l’insonnia d’amore, non è il collasso del corpo nel sogno surrealista di Dalí, non è lo smaniarsi nella lessinghiana attesa del piacere, non possiede la luce di tale veglia. È un altrove di immagini crepuscolari, un’estensione del sogno che confina con l’incubo. La notte dell’insonne è tutta in quell’agognare il giorno, per capitolare nuovamente al cospetto di un tempo nemico.