Nella nostra società ogni valore superiore, ogni visione del vivere e del morire, ogni valore di reale bellezza ed armonia è stato soppiantato da un’ottica della vita di tipo utilitaristico ed economicistico, dove è la mediocrità a farla da padrona. Mediocrità che è altresì unica nota distintiva dei nuovi modelli proposti dai media e dal consumismo dominante, di cui è impregnata la nostra società “liquida” (cfr. Z. Bauman, Vita liquida, Bari, Laterza, 2008). Una società che non trae più esempio dai padri, ma che venera ed erige a modello le celebrità della tv, che esalta il warholiano “quarto d’ora di celebrità” e la “competitività”, a discapito di valori come la patria, il senso di comunità: l’arte, l’èpos. In tempi e modalità differenti, la società in cui visse il noto scrittore tedesco Thomas Mann (1875-1955) presentava già il contrasto delineato: allora ai due poli si contrapponevano affarismo borghese e sensibilità artistica.
Lo studio delle opere di Mann consente di inquadrare il nostro tempo e di comprenderne le contraddizioni. Mann, prima di abbracciare l’universalismo socialista all’avvento al potere di Hitler, era stato un esponente della Konservative Revolution. Il distacco dalle idee che innervarono la Rivoluzione Conservatrice segna uno spartiacque tra il primo Thomas Mann, conservatore e nemico del pensiero europeistico (del quale uno dei massimi rappresentanti in letteratura era il fratello Heinrich), e il Mann democratico antinazista. In ogni caso nell’opera complessiva dello scrittore di Lubecca è rinvenibile una costante, un fil rouge che connette i due periodi: ovvero la contrapposizione tra “Kultur” e “Zivilisation”. Soltanto che nella prima fase, che annovera Buddenbrooks (1901), Tristan (1903), Tonio Kröger (1903), Morte a Venezia (1913) e i saggi di Considerazioni di un impolitico (1918) Mann parteggia per l’idea di Kultur; nella seconda fase, socialista ed antifascista – da La Montagna incantata a Confessioni di Felix Krull -, Mann andrà sempre più sostenendo il progetto della Zivilisation. Si tratta di due termini che rimandano a due ben distinte concezioni della realtà sociale e che si trovano formulati nel “Tramonto dell’Occidente” di Oswald Spengler. In Italia il binomio oppositivo verrà tradotto da Julius Evola rispettivamente in “Civiltà” e “Civilizzazione”.
Per Mann la Germania è la nazione della “Kultur”. Egli si considera ultimo rappresentante di una grande tradizione nazionale che ha nella triade Schopenhauer, Nietzsche e Wagner la massima espressione (“stellare trinità di spiriti uniti eternamente l’uno all’altro”*). Proprie della Kultur sono l’arte e la metafisica. Ad esse si contrappone la Zivilisation, i cui ideali sono il pacifismo, l’egualitarismo, l’internazionalismo, l’umanitarismo ecc. La “Civilizzazione” veicola tali ideali – “falsi” per il primo Mann – principalmente mediante il giornalismo, la letteratura e gli scritti dei “letterati della Zivilisation”. L’arte respira nell’eterno per cui non potrebbe mai sottostare al gioco della Zivilisation, che è legata ad un particolare contesto ed è quindi storicamente relativa e limitata. La Zivilisation è ideologia, la Kultur è tradizione. La metafisica e quindi il sacro, l’esperienza trascendentale, che logorano la vita nel cammino verso la terra promessa, sono anch’essi nemici della “Civilizzazione” nel momento in cui quest’ultima propone l’attivismo, la “volontà di vivere”, l'”impegno”, l’affarismo borghese. Per il secondo Thomas Mann la Kultur diviene inevitabilmente sinonimo di disfacimento, distruzione e, latu sensu, anche di nazionalsocialismo. L’arte, la bellezza, la metafisica pongono l’uomo dinanzi al mistero dell’Universo. Esse spingono l’individuo a portarsi oltre l’umano. E potrebbero condurre anche al disimpegno reazionario. Soltanto l’uomo civilizzato, l’uomo senza “cielo”, può sottostare alle leggi del mondo borghese. I saggi contenuti in Considerazioni di un impolitico (1918) riassumono grandiosamente tali concetti. (cfr. Paolo Isotta, Il ventriloquo di Dio, Milano, Rizzoli, 1984, p. 73).
Il primo Mann insegna in fondo che nella società occidentale a cavallo tra Ottocento e Novecento, una volta scacciato il sacro, l’esperienza trascendentale, vengono instillati i semi del consumismo, della corsa al denaro e dei falsi ideali della Zivilisation. Ad ogni modo, non si può affermare che il secondo Mann, “socialista”, si adegui pienamente ai nuovi ideali del mondo moderno. Nel suo ultimo romanzo “Bekenntnisse des Hochstaplers Felix Krull” lamenta infatti la commistione dei costumi tra le classi sociali (e quindi implicitamente critica l’egualitarismo) e si spinge ad affermare che “un’aristocrazia del denaro è una permutabile aristocrazia fortuita”. “Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull” può essere del resto riassunto nella seguente affermazione del protagonista – che difficilmente potremmo sentire pronunciata da un attuale esponente del cosiddetto pensiero debole:
“Ma tutto, l’intero essere cosmico, è pervaso di transitorietà: eterno, inanimato, indegno perciò di simpatia, è soltanto il nulla, dal quale l’essere fu tratto per la sua gioia e la sua pena. Essere non è benessere; è gioia e pena, ed ogni essere nello spazio e nel tempo, ogni materia partecipa, sia pur soltanto nel suo più profondo sopore, a questa gioia e a questa pena, al sentimento che induce l’uomo, esponente del più vigile sentimento, alla simpatia universale”. (T. MANN, Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull, Milano, Mondadori, 2011, p. 252)
La fortuna di Thomas Mann è stata immensa. Sin dagli esordi attorno alla sua opera comincia l’interesse della critica e la curiosità dei lettori; e un critico poté parlare di lui come di un rinnovatore del romanzo; un altro studiare Mann il reazionario; un altro stabilire i punti di contatto e d’opposizione tra Mann e la tradizione classica. Rapidamente da allora questo moto d’interesse s’allarga; altri temi fondamentali dell’opera – il contrasto tra solidità borghese e sensibilità artistica, il tema della disgregazione spirituale, la dissoluzione dell’individuo, decadenza e arte ecc. – passano al vaglio della critica: e già alla morte dello scrittore esiste su Mann un repertorio di temi sui quali la critica tesse la fitta rete delle proprie analisi. Mann conservatore, nostalgico dell’età guglielmina, uomo di mondo, socialista, antinazista in California; pagine di amici e critici lo rievocano nei più diversi aspetti della sua vita e della sua figura fisica: nelle sue manie e idiosincrasie. Senz’altro una personalità inquieta. Era nato a Lubecca nel 1875.
*T. MANN, Considerazioni di un impolitico, a cura di M. Marianelli, Bari, De Donato, 1967, p. 63.