“Don’t cry for me, Argentina”. Non piangere per me, Argentina. Così cantava l’indimenticabile Evita Peron del musical a lei ispirato, ideato dal britannico Andrew Lloyd Webber e da Tim Rice e reso immortale dalla trasposizione cinematografica del 1996, con Madonna nel ruolo della moglie del generale Peron.
Eppure l’Argentina oggi piange per il peronismo. O meglio, per la sua sconfitta. Il ballottaggio di ieri ha infatti premiato il liberale e sindaco di Buenos Aires Mauricio Macrì, a capo del movimento “Proposta Repubblicana”. Cinquantaseienne ingegnere e imprenditorie di origini calabresi e nobiliari, figlio del costruttore Francisco Macri, ex numero uno della squadra di calcio del Boca Juniors, il nuovo presidente dell’Argentina è un uomo di quelli che piacciono… agli ambienti che piacciono.
Un gioco di parole per dire che, dopo l’era dei coniugi Kirchner, prima il grande Nestor, poi sua moglie Cristina Fernandez, l’asse geopolitico del Paese sudamericano si sposta in maniera considerevole. Verso nord, direzione Washington.
Una volontà mai sconfessata da Macri è infatti quella di abbandonare la politica estera precedentemente adottata dal Partito Giustizialista, che dopo la rottura con la finanza internazionale in seguito al collasso economico di fine anni ’90 e inizio anni 2000, Fmi in testa, aveva sposato le posizioni antiatlantiche del Venezuela socialista e populista di Chavez e Maduro.
La proposta di Macri è invece quella di rinsaldare i rapporti con l’Alleanza del Pacifico e quindi con gli Stati più vicini al grande impero americano: Messico, Colombia, Perù e Cile. Inoltre Macri propone di stabilire un’alleanza strategica con il Brasile ai fini di un’unione con la medesima Alleanza del Pacifico. Voci di corridoio danno inoltre per non improbabile una futura approvazione di Macri all’ingresso dell’Argentina nel criticatissimo TPP, il trattato transpacifico caldeggiato dagli Stati Uniti e gemello del trattato transatlantico che tanto fa discutere in Europa e che minaccia di dare vita a una circolazione incontrollata di merci a basso costo.
La svolta neoliberista
Anche sul piano economico infatti le prerogative di Macri sono quelle tipiche del neoliberismo: riduzione del perimetro dello Stato, austerità, rispetto e responsabilità nei confronti delle richieste dei creditori internazionali. Gli stessi che la precedente inquilina della Casa Rosada, Cristina Kirchner, aveva ripudiato sprezzante delle intimazioni dagli Stati Uniti.
C’è comunque una divergenza di vedute totale insomma con quel Partito Giustizialista, erede del peronismo di sinistra, che alle elezioni si presentava con Daniel Scioli, in vantaggio al primo turno. Un candidato con una storia da film, ex pilota di motonautica, ex imprenditore di successo, per far dimenticare le polemiche nei confronti della Kirchner, finita nel mirino della stampa d’opposizione per alcuni scandali che hanno finito per mettere in ombra negli ultimi anni gli innegabili successi suoi e del compianto marito Nestor. Tra questi vi è sicuramente la riduzione dell’indice di povertà, attuata attraverso un graduale incremento del welfare, che ha portato l’Argentina ad essere il secondo miglior Paese dell’America latina a livello di benessere.
Una leggera stagnazione dell’economia argentina dell’ultimo periodo, rispetto al boom degli anni 2000, risultato di un boicottaggio da parte degli investitori internazionali per via del carattere forte del Governo peronista (un esempio può essere costituito dalla requisizione di raffinerie private per riportarle sotto il controllo statale), ha fatto il resto.
Gli argentini si sono così dimenticati delle enormi difficoltà dell’era Menem, quando il neoliberismo di matrice atlantica portò il Paese ad implodere per via dei costi sociali troppo alti del processo di privatizzazioni in atto e hanno scelto di dare la fiducia a un candidato che ora ripropone quello stesso percorso.