Una sedia e …oplà sul soffitto!
A chi potrebbe venire in mente, o meglio in testa, di camminare per le strade della propria città con una sedia sul capo e poi finire a vivere sul soffitto? Attenti, non in soffitta. Proprio lì, sul soffitto. Risposta: all’uomo nato grigio di Eric Chevillard. “Sul soffitto” è il titolo di un breve romanzo, uscito di recente per Del Vecchio Editore.
Chevillard è un originale e premiato scrittore francese, ideatore di un famoso blog “Autofictif” in cui sciorina aforismi a metà tra riflessione ironica e provocazione seria. Ironia e serietà che si riversano nel mondo inverso del protagonista di questo romanzo: “…la sedia è un oggetto più complesso di quel che sembra, direttamente implicato nel dramma umano…”.
Che una sedia sia òntos in effetti stranisce. Senonché nella corsa affannata, tutta intrisa di contemporaneità, a trovare un senso alla voglia di dissenso una sedia può essere un mezzo come un altro. Perché la sedia di Chevillard è vessillo anticonformista e anarchico, forse. Il protagonista, simbolicamente grigio, vive la sua vita portando una sedia rovesciata sulla testa; viaggia, con passo da sghembo flaneur, per i vicoli di una metropoli indefinita tra creature reiette (la donna che non vuole partorire i figli che si sommano nel suo enorme grembo, il gruista divenuto gru, il clochard maleodorante) con cui crea una comunità bislacca ed emarginata che, sfrattata dalla polizia, trova rifugio nella casa di una famiglia borghese, i Raffin, di cui occupa il soffitto vivendo a testa in giù, per simbolico rifiuto dell’etica normata e della necessità salvifica del punto di vista altro. Questa è la trama, schidionata con riflessioni sul presente, sulla “civiltà sprofondata nelle proprie deiezioni”. Ma se fosse davvero così, si ridurrebbe il gustoso racconto ad una tesi buona per sociologi e moralisti. La sedia di Chevillard piuttosto si colloca nella galleria onirica degli oggetti surrealistici, tra trasfigurazioni psichiche e rifiuto di sovrastrutture persino del linguaggio: l’humor, la scrittura infedele, il pullulare convulso di espressioni e immagini sgangherate fa volteggiare il senso fino al nonsense. L’iperbole sostiene una storia che rivendica e nello stesso tempo si vendica della categoria del plausibile.
“Come far comprendere questo? Questo mio turbamento, questo fastidio atroce, questo malessere che provo in presenza di qualsiasi persona, uomo o donna che sia, che non porti una sedia rovesciata sulla testa?”.
Chevillard, con discreta originalità, propone al lettore di disorientarsi in un luogo in cui Contrario è Normale. Fa vivere il suo uomo grigio in simbiosi con l’oggetto: la sedia – come ci vuole ossessivamente spiegare- è stata prima rimedio poi scelta, prima conforto poi fastidio, prima singolarità poi diversità, prima solitudine poi comunanza. In ogni caso ha permesso di crearsi un mondo, di realizzarne un altro con esseri simili, di far trionfare lo scandalo, la trasgressione con un occhio perfino troppo attento alla lezione di Queneau, di Tzara e dei maestri della pittura surrealista e -perché no?-di un certo Calvino. Persino l’incursione circense deve molto a suggestioni tanto care alla decàdance: questa sorta di “Compagnia dei Folli” sale sul tetto esibendosi in una piramide acrobatica. Ma qui la storia cambia. L’altra prospettiva mostra pian piano la sua insufficienza. La leggerezza accattivante rallenta il passo. Nella casa, abitata da umani un po’ stalattiti un po’ stalagmiti, la Normalità inghiotte il Contrario e il mondo di sopra diventa speculare al mondo di sotto, il soffitto diventa il pavimento. D’altronde due forze uguali e contrarie muovono la fisica dei corpi: sugli uomini attratti e respinti cala “la pesantezza sulla quale non si può nulla”. Rassegnazione o conquista: al lettore tocca sciogliere la perplessità.

Leggere adesso “Sul soffitto” può offrire una didascalia al senso di smarrimento, di impotenza, di urgenza di provare a costruire altro e di esorcizzare le paure: ecco la trappola. Leggere “Sul soffitto” è piuttosto salire una ruota panoramica, provarne l’ebbrezza e lo squilibrio: ad ogni giro gli occhi roteano su uno scorcio diverso e frastagliato; mentre la scrittura funambolica strappa sorrisi e costringe a rifiatare. L’umorismo garantisce se non proprio la leggerezza almeno la distrazione. Distratto il lettore dal dubbio: la sedia o il soffitto? Come nel famoso dipinto “Golconde”: l’omino in bombetta di Magritte vola o sta fioccando?
*”Sul soffitto” di Eric Chevillard (pp. 144, Del Vecchio Editore, euro 14)