Attacchi multipli in un centro pulsante di Parigi, l’XI arrondissement, fino a Saint Denis, pochi chilometri fuori, dove era in corso l’amichevole tra Francia e Germania. Esplosivo, armi d’assalto e guerriglia, tra kalashnikov e fucili a pompa, e infine kamikaze, fattisi saltare in aria dopo aver sparato per dieci minuti dentro le sale del Bataclan al grido di Allah akbar e aver posizionato cariche esplosive vicino lo Stade de France. “Colpa di Hollande”, qunalcuno a sentito dire a uno di loro.
La Parigi che si è svegliata stamane è una città stuprata. Quasi duecento morti civili stesi sulle strade, l’incredulità che lascia spazio al terrore. La Parigi di stamane, sveglia sotto lenzuoli intrisi di sangue innocente – lo stesso sangue che ha macchiato proprio quei lenzuoli che gli stessi cittadini hanno usato per coprire i corpi crivellati dal piombo del terrore islamista. Già, dopo Charlie Hebdo Parigi è di nuovo teatro di una danza macabra e l’unico ritornello è quello di una melodia funebre. Non ci sono per adesso certezze in merito all’individuazione di cellule dormienti cui attribuire l’attentato: si sa solo che le cellule dormienti esistono, forse da cercarsi tra le vie delle banlieue, forse negli appartamenti in centro abitati da perfetti parigini. Parigi era perfetta nel suo encomiabile multiculturalismo, nel sogno dell’accoglienza laica, elemento fondante del noveau régime democratico.
Si è parlato di un nuovo 11 settembre europeo, ma già abbiamo scordato Londra, Madrid e gli assalti disumani che il terrore islamico ha perpetrato a partire dal 2001. Stavolta il nemico è l’Is che la Francia di Hollande tenta, goffamente, di combattere in Siria. Si è parlato di un nuovo 11 settembre, ma a differenza di quello che ferì a morte l’America – terra dei liberi e patria dei coraggiosi – stavolta non sono stati colpiti simboli chiave di una Nazione. Uno stadio dove c’era Hollande, certo, ma anche il Bataclan, uno storico locale di musica nel X arrondissment popolato da ragazze e ragazzi su cui è stato fatto fuoco per dieci infiniti minuti senza che nessuno intervenisse. E l’intelligence? Tutti sanno, molti sospettano e alla fine vincono loro, con esecuzioni pianificate nel dettaglio, senza lasciare superstiti, uccidendosi o facendosi uccidere: in guerra non si fanno prigionieri.
Nell’ennesimo discorso a reti unificate Hollande ha detto che la Francia reagirà “senza pietà”, vale a dire che probabilmente verranno meno alcune delle garanzie costituzionali. Stato di allerta massimo e frontiere chiuse.
La storia francese è una delle più complesse e contraddittorie di tutta Europa: l’Eliseo ha chiesto aiuto da parte sua e ha fatto riferimento agli alleati. Da capire quali, visto che per esempio l’Italia per adesso ha avuto un atteggiamento nella migliore delle ipotesi tiepido davanti a certe questioni. La stessa Italia che si appresta a celebrare un Giubileo straordinario tra meno di un mese.
È stata colpita la Francia del venerdì sera, quella spensierata, quella che dormiva tranquilla proprio accanto ai propri carnefici, quella che ascoltava musica dal vivo e andava allo stadio. È una guerra nuova, e le risposte su come combatterla non si esauriscono con poche righe scritte in furia il giorno appresso a una strage del genere. Forse andranno bene metodi vecchi, forse ce ne saranno di nuovi. La rivendicazione quella è: il nemico ha un nome, ma la Francia e l’Europa non sanno che volto abbia. È lo stesso nemico che in Siria e in medioriente si batte contro le libertà individuali e, quindi, contro l’essere umano. Ma è lo stesso nemico che sbarcato in Europa gode di quella libertà che vorrebbe cancellare proprio per colpire al cuore Parigi ieri e domani chissà chi altro. Un nemico che ha un nome, ma che cela il proprio volto dietro la maschera che noi stessi gli garantiamo. Una, nessuna, centomila. Un’ecatombe pirandelliana in cui ormai più nessuno è incolpevole.