Chi ha commentato la manifestazione leghista di ieri a Bologna rievocando il 1994 (all’alleanza tra Bossi e Berlusconi) per sottolineare un passo indietro di Salvini rispetto al Cavaliere, dal quale diceva di volersi staccare e che invece ha invitato sul palco, non si è accorto di che cosa sia politicamente accaduto.
Bologna per Salvini non è stata una sconfitta: è stata una vittoria. Il segretario leghista, dimostrando di essere l’unico a “destra” in grado di far scendere la gente in piazza, ha infatti rimarcato la propria leadership incontestabile in quello che sarà lo schieramento anti-Renzi del futuro. Ospitare sul palco Berlusconi è servito a rafforzare questa posizione: Silvio per la prima volta si è trovato a una manifestazione di centrodestra in qualità di gregario e non di mattatore, ha provato persino a prendersi più minuti rispetto a quanto accordato e ne ha ottenuto fischi.
Né la Meloni è riuscita a ottenere risultati più incisivi, poichè nonostante la buona oratoria resta sempre vista con sospetto dall’elettorato, poichè da una parte paga lo scotto di essere oggi portavoce di quella vecchia classe dirigente ex An sulla quale ricade la colpa della distruzione della destra e che lei non è riuscita (o non ha voluto) scrollarsi di dosso; e dall’altra è portavoce di una destra che non riesce a emanciparsi, a svincolarsi da toni reazionari che ormai sulla via dell’anacronismo. Insomma, paga lo scotto di non essere ancora diventata giovane. Lei può essere un valore aggiunto, ma di sicuro non una competitor.
Ecco quindi perchè ieri Salvini ha vinto. Perchè se li è portati con lui, li ha messi in esposizione alla piazza e ha fatto loro capire di essere più piccoli di lui. Destinati ad aggregarsi o a morire. Anche perchè lui, a differenza degli altri due, ha saputo emanciparsi: dal palco ha parlato all’Italia, non più solo alla Padania, costringendo tutti a doverselo sorbire come interlocutore in tutti gli angoli del Paese, quando bisognerà decidere come affrontare Renzi.
E per affrontarlo, oggi non si può purtroppo oggi prescindere dalle componenti che formavano il “centrodestra”. Correre da soli significherebbe autocondannarsi all’opposizione; ogni anno di opposizione oggi significa danni disastrosi al Paese (si pensi a che cosa il trio Monti-Letta-Renzi hanno combinato in soli tre anni); mentre oggi i sondaggi danni una coalizione di centrodestra sempre più vicina al Pd in termini di consenso.
Il problema semmai sarebbe l’idea di un listone unico, perchè – come abbiamo ribadito più volte – in politica le somme aritmetiche non funzionano mai: e infatti, se Lega + Forza Italia + Fratelli d’Italia arrivano a quasi 30%, una lista unica è data a non oltre il 25%. D’altronde, ce li vedete i moderati andare in massa a votare Lega e i leghisti andare in massa a votare l’esercito di Silvio?
*direttore de Il Talebano, dirigente della Lega di Salvini