Pubblichiamo un estratto de “Il lupo del Lago Nero. Tre avventure” di di Ferdinand Ossendowski, edito dalle edizioni Ar
“Non più tardi di tre anni fa (1920), riattraversavo quelle praterie in cui pullulavano nei secoli milioni di cavalli e altri animali. Adesso, il deserto! I Tartari, sciamati verso sud, oltrepassando la frontiera mongola per sfuggire al terrore criminale dei Sovieti; l’erba, arsa dagli incendi appiccati di proposito o devastata dalle cavallette.
Era il castigo di Dio, o la maledizione di Abuk Khan, oppure la vendetta delle ombre irose dei grandi capi, degli eroi delle tribù da gran tempo scomparse?
Rinvenni numerosi cadaveri di Tartari massacrati dai Bolscevichi, ossa di pecore e di buoi dei loro allevamenti.
Nei pressi del Lago Nero, dove vent’anni prima mi ero accampato assieme al mio illustre professore e ai tre evasi dai bagni penali siberiani, scorsi le rovine della raffineria del sale e delle vicine abitazioni, distrutte da un incendio. Rimaneva in piedi solo una stamberga, dimora del custode e della sua famiglia ai quali la morte faceva di continuo la posta.
Simbolo di quella vita tragica e disperata, la figura oscura di un lupo si ergeva sulla cima della montagna, campeggiando nettamente nel crepuscolo di un estenuato cielo primaverile. Immobile come una statua di bronzo, la figura del lupo. All’improvviso, levò la testa, protese il collo ed emise un urlo prolungato, straziante: un ululato che sapeva di invocazione e di minaccia – di rovina, di morte, di oblio.
Che ne è degli anni della mia giovinezza? Dei pensieri, degli ideali di quella stagione? Era questo che mi attendevo dalla vita e dalla civiltà, mentre vent’anni fa vagavo tra questi dolmen, ascoltando le voci di secoli sepolti e sognando di una civiltà possente, in grado di interrompere la rovina che incombeva su queste tribù morenti? Quando stavo qui, persuaso di operare per il progresso e la felicità del genere umano, di contribuire a dischiudere prospettive migliori a questa terra sconfinata, così seducente nella sua primordiale essenzialità, avrei mai immaginato di imbattermi, vent’anni dopo, in simile desolazione?
Insomma, era questo che mi attendevo dalla ‘rivoluzione’, ossia dalla manifestazione più decisiva del ‘progresso’, quando, nel 1905, appunto in nome del progresso e per protesta contro le criminali ingiustizie del governo imperiale, mi gettavo nel turbinio della prima rivoluzione, per poi languire due anni nelle prigioni zariste, a scontarvi la pena del mio ardore?
No, non era questo che anelavo.
L’equazione ‘rivoluzione-progresso’ è vera sempre?
Il paese della morte e delle tombe, la prateria tra Ciulyma e Minusinsk ha verificato questa equazione, emettendo il proprio giudizio con il fruscio delle sue erbe disseminate di pietre. La stessa giustizia di Hak l’evaso, il giorno in cui ci separammo da lui e dai suoi due compagni del bagno penale, nei pressi di Minusinsk, sul finire di settembre.
“Senza di voi, ora, noi rimaniamo senza via di scampo. Ma la vostra sorte non è migliore della nostra. Su di noi incombe la morte, grondante di fame e di freddo; ma sino alla sua venuta, noi ci muoveremo nel libero spazio della foresta. Voi, invece, dentro le vostre città di pietra, dovrete lottare in continuazione contro artifici malvagi e astuzie sordide, contro insidie contronatura. Anche su di voi incombe la morte, con il suo corteo di gridi e di gemiti delle vittime dell’esistenza cittadina.”
Guardandoci fissamente negli occhi, i tre evasi ci strinsero la mano con fervore. Poi si allontanarono, per restituirsi alla loro vita di animali perseguitati. Si mossero in fila indiana, da lupi in cerca del folto per darsi alla macchia: ostili alle strade frequentate, ai luoghi abitati, agli estranei e agli sconosciuti. Si fermarono sull’orlo della foresta, scrutando i dintorni in silenzio.
Erano come il lupo del Lago Nero, che ululava gonfio di odio perché il progresso degli umani lo condannava alla fame e alla morte. Spiccando sul fondo del cielo, la sua figura malediceva le insidie e le perfidie della vita. Proprio come Hak. Hak, l’essere traviato, il criminale capace di mostrare gratitudine, per una lieve parola di simpatia e un minuscolo gesto d’interesse, verso chi indovinava la fierezza tormentosa della sua anima.”
*Il lupo del Lago Nero. Tre avventure di Ferdinand Ossendowski (Edizioni di Ar 2015, collana Il Cavallo alato, pp. 60, euro 10, per ordini: info@libreriaar.com)