In occasione del quarantesimo anniversario della tragica morte di Pier Paolo Pasolini vale la pena riannodare, tra tanti articoli tutti uguali, il senso del rapporto controverso tra la destra italiana e l’intellettuale “eretico”. Non solo per un dovere di memoria e di verità. Nel confronto/scontro con Pasolini vanno recuperate le ragioni di un’epoca, fatta di passioni forti ed insieme della volontà di andare oltre le facili e scontate schematizzazioni ideologiche.
La destra inizialmente lo detestava per le sue idee e soprattutto per la sua dichiarata omosessualità (che peraltro gli costò, nel 1949, l’espulsione dal Partito Comunista). L’uscita dei suoi film era oggetto di dure contestazioni da parte delle organizzazioni giovanili missine, con l’inevitabile strascico di incidenti, di fermi e contusi. Giornali “d’area” come “Lo Specchio”, “Il Borghese”, “Il Secolo d’Italia”, “Il Meridiano” e “L’Italiano” ne fecero un bersaglio privilegiato. E tuttavia – come ha ricordato, nel novembre 2014, il quotidiano “il Resto del Carlino” – a destra c’era anche chi non disdegna il dibattito, come Piero Cerullo, storico dirigente della destra giovanile degli Anni Cinquanta-Sessanta, protagonista, con lo scrittore, nella Modena del 1958– scrive il giornale bolognese – di ”un animato, ma civile e brillantissimo duetto”, ascoltato da una platea “costituita per la massima parte da giovani di sinistra in un rigoroso silenzio. Una situazione inimmaginabile, dati i tempi.”
Dopo averlo contestato, la destra prima gli concesse l’onore delle armi in occasione della sua morte, poi iniziò ad interrogarsi sull’essenza del suo pensiero sul suo essere “oltre” le vecchie appartenenze ideologiche. In che senso?
Riconoscendo – come ha evidenziato Marcello Veneziani – che con la lotta contro i valori tradizionali e religiosi i giovani estremisti rendevano un servizio al nemico che dicevano di combattere: sgombrando il terreno da religione e valori, lasciavano campo libero al dominio del neocapitalismo, con il suo laicismo, le sue merci e la sua tecnocrazia. Tagliando fuori dalla sua analisi sociale la borghesia e il proletariato – come ebbe a scrivere Antonio Saccà.
Per il suo andare contro, con i suoi “Scritti corsari”, i tabù del pensiero dominante, quello del partito borghese e radicale di massa. Contro l’aborto, contro l’omologazione consumistica, contro la scomparsa delle lucciole. E prima ancora contro la falsa contestazione dei giovani borghesi del ’68, coccolati dalla cultura dominante (di sinistra). Pasolini anche qui andò oltre, simpatizzando con i poliziotti (“perché – scrive – sono figli di poveri./ Vengono da periferie, contadine o urbane che siano”) contro i “figli di papà” ricchi e borghesi.
Nel dicembre 1988, nella sezione del Msi-Dn di Acca Larenzia di Roma, si tenne l’incontro “Ripensare Pasolini … scandalosamente”, organizzato da Lodovico Pace,Teodoro Buontempo e Adalberto Baldoni. L’iniziativa innesca un ampio dibattito sulla stampa italiana: questa volta a destare scandalo sono i missini, che discutono, senza tabù, l’intellettuale … “scandaloso”.
E’ il suggello di un’epoca. Beppe Niccolai, figura storica del radicalismo missino, dichiara la comunanza con Pasolini per la “critica radicale alla società dei consumi” e la volontà di “oltrepassare” le definizioni di destra e sinistra.
Oggi come allora, a quarant’anni dalla sua drammatica morte, parlare di Pasolini vuole dire parlare anche di questo: di vecchi tabù infranti, di autentica volontà di guardare al presente con l’occhio rivolto al futuro, soprattutto di un nuovo radicalismo culturale, tra nuove “lucciole” accese per rischiare un mondo sempre più omologato.