Culo, nel dizionario calcistico, è espressione che sta a stigmatizzare il capriccio della cieca fortuna che spinge gli avversari al successo. Di culo, nel calcio, si parla molto. Di terga, in senso fisico, molto meno sempre che non entrino in gioco le pompose Wags che affollano le tribunette centrali frequentate dalla gente che piace.
A Salerno, con la squadra partita ambiziosissima e ora in tremendissima crisi di risultati, Claudio Lotito parla di chiappe bomber. Il copatron della Salernitana e dominus della Lazio, in una delle lunghe dissertazioni sul calcio (che è cosa diversa dal pallone e dalle sue plebee tenzioni che lascia agli avventori dei bar che non onorano i patti di recarsi in massa allo stadio, ipse dixit) ha elogiato l’umiltà dell’arte di arrangiarsi che va applicata al football come via maestra per raggiungere l’ambita palma della vittoria.
Ricordando una prodezza posteriore rifilata dieci anni fa al Palermo dall’ex biancoceleste Christian Manfredini (che peraltro abita e insegna calcio ai ragazzini a venti chilometri da Salerno), ha invitato la squadra a non perdersi in ghirigori ma a capitalizzare, segnare pure di culo, riscoprire lo spirito proletario di chi supplisce alla tecnica (che pure è importante, sempre ipse dixit) con lo spirito agonistico.
L’elogio del culo
L’elogio del culo (e anche dell’orecchio, altro strumento lotitiano per far urlare gol alla curva) è cosa che mancava da un po’ di tempo al dibattito pallonaro italiano. Il calcio secondo la vulgata che fa acquistare i pacchetti pay-tv deve essere spettacolo e sempre ‘ccezionale o, altrimenti, non è (e non vende). Però lo sparagno non è argomento a questo estraneo ma, addirittura, fondativo. Perchè il teorico del calcio utilitaristico, furbo e cazzimmoso era stato, ben prima del Serenissimo Claudio, un certo Gianni Brera.
Giuanin aveva elaborato l’idea secondo cui il fùtbol andasse declinato a seconda del Volkgeist di riferimento. Secondo Brera era da stupidi far giocare l’Italia (ai suoi tempi ancora nazione rurale consapevole d’esserlo) con sistema differente dal prudente e risparmioso catenaccio, che esaltava l’attitudine contadina dell’ammassare e gestire il prezioso carico foss’anche di un solo chicco d’uva in più dell’avversario. Brera si spingeva persino a complesse analisi morfologiche sulla struttura fisica delle genti in riferimento al sistema calcistico da prediligere. Tutta roba che all’epoca pareva di estremo buon senso e che oggi, in tempi di fame mediatica e censura preventiva, sarebbe oggetto di interrogazioni parlamentari.
Che Lotito sia il nuovo Gianni Brera è bestemmia. Che Lotito avvalori quanto da questi perorato in anni di ricerca pallonara è pura verità. L’appassionata difesa dell’arte di trasformare, accumulare e non sperperare (e in quest’ultima è maestro indiscusso e indiscutibile) è caratteristica principe dell’humus rurale in cui s’è bagnata e stinta la costituzione identitaria dell’italiano, quello che fino al parossismo tavecchiano ritiene d’essere dalle scarpe grosse col cervello fino.