Un libro che permette di guardare con maggiore lucidità al mondo delle startup di cui si fa un gran parlare senza farsi annebbiare dalla retorica: è “Uno splendido insuccesso imprenditoriale” di Michele Fronterrè. Qui un estratto del capitolo sulle statrup
Gli start-upper non hanno età
Se prendete il diagramma costituito da quattro quadranti dove sulle ascisse c’è la redditività del lavoro e sulle ordinate la quantità del lavoro, sappiate che il quadrante in cui si colloca lo start-upper è quello che corrisponde alla combinazione: tanto lavoro, poca redditività. Almeno nel breve termine.
Non troverete nessuna pubblicazione da parte di un incubatore d’imprese che, in un rapporto sullo stato dell’innovazione, faccia cenno al lato in ombra della vita da start-upper.
La figura dello start-upper deve evocare sempre Steve Jobs e la Silicon Valley. Quando invece lo start-upper è un masochista che, non sempre razionalmente, accetta di peggiorare per un periodo della sua vita, della durata a priori ignota, le condizioni salariali e la qualità della sua vita in nome di un futuro migliore. Il tutto per rispondere al suo istinto che, forse, sotto l’imbolsimento del ritmo dei consumi, è poi quello di tutti. Quello di voler fare e riuscire. Affermarsi.
Ne ho conosciuti diversi di start-upper. Quelli veri, convinti. Spiccicati, nella loro estetica, agli epigoni della Silicon Valley. Quelli che parlano in tecnologichese, che hanno una App per ogni cosa che fanno. Quelli che, dopo aver avuto la testa tra le nuvole inventandosi un pezzo di futuro per tanti, adesso hanno tutti i dati della loro vita, che si confonde con quella lavorativa, dentro un cloud.
Ho conosciuto quelli che con le start-up non hanno proprio nulla a che vedere. Privi di qualunque forma di propensione al rischio.
E, ancora, quelli che dello start-upper hanno solo la sciatteria dell’abbigliamento, l’aria sempre un po’ ensteiniana, ma che, alla prova dei fatti, conto economico alla mano, non solo non hanno mai inventato nulla, facendo di un’idea un prodotto, ma non sono stati capaci di darsi da vivere.
Di start-upper, poi, ne ho conosciuti alcuni di mezza età. I migliori. Gente che viveva dello streben di voler inventare, sempre, qualcosa di nuovo: un prodotto, una ricetta per vendere meglio e con più efficacia i propri prodotti, per aggredire un nuovo mercato.
La loro età, i loro capelli argento vivissimo, i loro powerpoint accattivanti con cui surfavano dentro i convegni dove c’erano giovani che non facevano altro che darsi un tono rigirandosi tricotillicamente i capelli per avere il sebo giusto dell’inventore, testimoniavano il loro successo. Parlavano mangiandosi le parole, perché la loro testa camminava più veloce della lingua.
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