Dottor Marco Valle, Trieste ha ospitato una manifestazione pubblica con Giorgia Meloni e Louis Aliot, vice presidente del Front National. Quali elementi di sintonia sono emersi dai due movimenti sovranisti?
L’incontro di Trieste che ho coordinato con piacere è stata un’occasione importante ma non va enfatizzato. È un punto di partenza e, forse, un punto di svolta ma non è ancora un progetto politico, un percorso comune. In ogni caso, grazie agli sforzi di Fabio Scoccimarro, il genius loci giuliano, e degli amici triestini, per la prima volta esponenti di primo piano di FdI e del Front National si sono confrontati pubblicamente trovando sintonie e convergenze. Aliot e Meloni hanno discusso con una certa profondità sulla crisi dell’Europa, sulle cause e gli effetti della catastrofe umanitaria in atto, sul destino dei popoli, proponendo ipotesi di lavoro credibili e convincenti. Da qui la nuova centralità degli Stati nazionali rispetto alla fallimentare Unione Europea e la necessità di uno sguardo nuovo verso il Mediterraneo, verso il Sud del mondo. Un primo inizio abbastanza promettente. Speriamo.
In passato la destra di governo italiana, evoluzione del Msi in An, aveva preso le distanze dal Fronte di Jean Marie Le Pen. Come si spiega questa riscoperta affinità?
La diffidenza della destra italiana verso il partito di Le Pen è antica. I motivi sono tanti: incomprensioni, gelosie all’inizio e poi problemi di convenienza, di “rispettabilità”. Nei Settanta, per i missini italiani il pirotecnico Jean Marie era un personaggio incomprensibile e, per le sue radici poujadiste, antropologicamente lontano. Nel 1978, in occasione delle prime elezioni europee, Almirante scelse per il suo esperimento dell’Eurodestra come interlocutori gli uomini del Parti des Forces Nouvelles, i diretti concorrenti di Jean Marie che mai perdonò quell’offesa. Dagli anni Ottanta in poi, nonostante i successi del FN e qualche occasionale riavvicinamento di facciata (il gruppo a Strasburgo, i tentativi del FdG con Raffaele Zanon, Riccardo Andriani e il sottoscritto di formare un movimento giovanile transnazionale), le distanze aumentarono, sino alla rottura post Fiuggi voluta da Gianfranco Fini. Dal 1994 per la destra di governo italica, i francesi erano ormai degli impresentabili e Gianfranco, abbaccinato da Giscard e poi da Sarkozy, si convinse d’essere diventato uno dei padri nobili della “nuova Europa”. Stupidaggini. Ma, ricordo, nemmeno Pino Rauti amava “le Chef”; lo considerava rozzo, volgare, prepotente. Poi è arrivata Marine che ha pensionato bruscamente l’invasivo babbo, rompendo vecchi schemi, vecchie abitudini e un filo di dialogo si è oggi riaperto a Trieste tra il FN e ciò che resta della destra politica italiana. Spetta ora alla Meloni, soprattutto alla Meloni, aprire una fase di confronto e fiducia.
L’evoluzione del Fn è tutta costruita sulla dediabolizzazione di Marine Le Pen. Cosa manca per diventare una forza di governo?
Poiché la politica è sempre una questione di cervello piuttosto che di sentimenti, è indispensabile una squadra efficace e una cultura di governo adeguata, ma la struttura del FN mi sembra ancora debole. La possibile conquista di tre regioni centrali alle prossime elezioni di dicembre rappresenta un test centrale per i lepenisti. Solo se sapranno essere all’altezza delle tante aspettative, passando dalla protesta al governo potranno immaginare realisticamente una corsa verso l’Eliseo. Personalmente credo che i passaggi saranno più lunghi. Al tempo stesso vanno registrati alcuni dati importanti. Il Front negli ultimi due anni ha fatto importanti passi in avanti. Va riconosciuto. Oggi a sostegno e consiglio della bionda candidata all’Eliseo da tempo opera, accanto all’Ufficio Politico del FN egemonizzato da Henin Beaumont, un Cabinet segret composto da una trentina di alti funzionari dello Stato, énarques o polytechniciens, economisti, professionisti, dirigenti di grandi industrie, tutti provenienti da ogni orizzonte possibile (gollisti eretici, ex sarkozysti, socialisti delusi, ecologisti) salvo quello frontista classico. E proprio seguendo le coordinate tracciate dal suo personale think tank, gestito attentamente da Louis Aliot (il compagno di Marine nella vita), madame ha tracciato il suo programma. In modo spregiudicato e sino ad ora vincente. Dal congresso di Tours, Marine cita Jaurès e Péguy, esalta i valori della République contro ogni forma di comunitarismo, evoca la laicità contro l’invasività dell’islamismo (paragonato, duro colpo ai vecchi collabòs, all’invasione nazista…), denuncia gli eccessi della globalizzazione e invoca la restaurazione della sovranità nazionale contro i burocrati di Bruxelles e chiede l’uscita dal sistema dell’euro, “la moneta dell’occupante”. Da allora non sono mancate critiche sull’abbandono da parte di Sarkozy della dottrina gollista in politica estera e militare e sulla nuova subalternità francese nella NATO e la derubricazione della lotta contro l’aborto ad una più ragionevole battaglia per una “politica di sostegno alla vita”, sostenuta da sovvenzioni alla famiglia. Il punto centrale del discorso della signora del FN è però tutto racchiuso nella rivendicazione piena e “sans ambage” di un nuovo patriottismo economico che tuteli i ceti più deboli e comprenda non solo servizi pubblici forti, un fisco giusto ma soprattutto «il controllo dello Stato dei settori strategici: l’energia, i trasporti, la salute, l’educazione” e, se necessario imponga “la nazionalizzazione delle banche, organismi insensibili ad ogni etica e morale». A chi la contesta, Marine risponde che le linee del nuovo FN in campo sociale ed economico (tutte assolutamente scandalose per le élites francesi) si ispirano in buona parte al programma del Conseil National de la Résistance, dunque….
In Francia intellettuali come Onfray, Zemmour e Houellebecq appoggiano tesi sovraniste e hanno concretamente dato forma ad un’area intellettuale identitaria. In Italia c’è un fermento simile? Se non è ancora articolata, come si spiega questa debolezza?
Il fenomeno del distacco dalle narrazioni della sinistra di alcuni dei principali intellettuali francesi è interessante e complesso. Ed è indicativo di un clima, di un’atmosfera. Qualche mese fa Le Magazin Littèraire, compunta e influente bibbia gallica del politicamente corretto, ha dedicato gran parte delle sue pagine per allarmare i francesi contro la nouvelle vague rèactionnaire. Per i redattori del patinato mensile parigino “la reazione è in agguato” e la République des lettres è in grave, gravissimo pericolo. Tutta colpa di Houellebecq, Finkielkraut, Camus, Dantec, Bellanger e del terribile Eric Zemmour, l’autore del lacerante Suicide Français. La domanda che più arrovella i severi “guardiani della libertà” è l’esprit du temps. Com’è possibile che «il romanzo francese interroghi la politica guardando il passato? Nostalgia postmoderna o rivoluzione reazionaria?». Bella domanda, densa d’implicazioni e coincidenze pesanti. Difficile, molto difficile per i critici de Le Magazin Littéraire trovare una risposta convincente e, infatti, preferiscono offendere, intorbidire, insinuare, magari accusando Zemmour e Finkielkraut (ambedue di religione israelita) di antisemitismo e criptofascismo. Perché no? Se poi Zemmour e Onfray su Elements si confrontano con Alain de Benoist, il rogo è subito pronto ma il dibattito non si arresta, anzi. Nonostante le scomuniche della rive gauche, vi sono testate prestigiose come Le Figaro, Valeurs Actuelles, Le Point che riprendono e rilanciano le provocazioni degli intellettuali “eretici”. In Italia, purtroppo, non vi è nulla di paragonabile. Il panorama è desolante, la stampa di centrodestra è semplicemente patetica, la destra politica è assente in campo culturale e il mondo giovanile post AN è in piena regressione nostalgica, militonta, funeraria. Unico dato positivo sono le poche isole libere sul web (penso a Barbadillo, Destra.it, Primato Nazionale, il Nodo di Gordio, Totalità, Storia in rete e altre esperienze locali) e le non molte case editrici anticonformiste, ma è troppo poco.
Dopo l’assemblea di Atreju con gli intellettuali patriottici e sovranisti, e le polemiche legate alla Fondazione An, c’è da monitorare i progetti in cantiere. Cosa si muove nell’arcipelago intellettuale non conforme?
L’assemblea di Atreju è ancora un punto di domanda e la fondazione rimane una pagina bianca. Anche in quell’occasione vi era chi (reduce da un confortevole ventennio) proponeva i soliti, inutili manifesti d’idee o impartiva senza vergogna lezioni d’ortodossia… Lasciamo perdere. Per quanto mi riguarda, in quella sede ho proposto un percorso d’ascolto e studio, imperniato su tre seminari (geopolitica, economia, società), per costruire una prima ipotesi di lavoro culturale e politica. Un passaggio necessario per coinvolgere studiosi, docenti, operatori dell’informazione, professionisti e, con il loro concorso, fornire documenti e analisi sul “futuro presente” alla destra politica. Potrebbe essere una prima tappa per ricostruire una presenza culturale e un’intelligenza organizzata. Vedremo. In ogni caso, dopo il successo del mio libricino “Confini e Conflitti”, lavoriamo insieme ad altri amici per progetti legati a studi e idee. È tempo di pensieri lunghi…