E’ andata a finire come accade spesso, a tutte le latitudini: i sondaggisti hanno toppato e i commentatori politici sono stati costretti ai salti mortali per analizzare l’esito – per certi versi clamoroso – delle elezioni presidenziali argentine. Non ha vinto il favorito Daniel Scioli, accreditato di un consenso intorno al 40% dei voti e secondo le inchieste demoscopiche vicino all’affermazione già al primo turno. Scioli non ha vinto e si andrà al ballottaggio, ma soprattutto la distanza fra il candidato neoperonista e il rivale della coalizione di destra liberista, il milionario Mauricio Macri, si è assottigliata come nessuno poteva prevedere. Tanto che adesso non è impensabile un clamoroso ribaltone nel testa a testa in programma per il 22 novembre.
Dalle urne l’alfiere del Frente para la Victoria (Fpv), che dovrebbe occupare la Casa Rosada lasciata libera dalla “dinastia Kirchner” (4 anni di Nestor e 8 anni di Cristina), è uscito con un risicato 36,8%, mentre Macri ha raggiunto il 34,3%, fermandosi a poco più di 600 mila voti dal clamoroso e impensabile sorpasso. Seicentomila voti e l’1,5% di differenza danno a Scioli un piccolo margine di sicurezza, ma il sindaco di Buenos Aires nonché ex presidente del Boca Juniors (anche per questo spesso paragonato a Berlusconi) ora ha il vantaggio psicologico di essere arrivato a un passo dal rivale, quando la maggior parte dei sondaggi per tutta la campagna elettorale l’hanno dato indietro anche di dieci punti. La lunga sosta in attesa del ballottaggio, a questo punto, rischia di raffreddare l’indubbia vittoria macrista e potrà fare il gioco di Scioli, che ha un mese di tempo per riorganizzare le file di una coalizione in piena crisi e di un mondo peronista che anche stavolta non è riuscito a compattarsi.
Per Scioli, il Fpv e il PartidoJusticialista (che nella coalizione è “l’azionista di maggioranza”) quella di domenica scorsa è stata una brutta caduta. Perché, al di là della corsa per eleggere il prossimo inquilino della Casa Rosada, l’area politica kirchnerista che per dodici anni ha egemonizzato il Paese ha dato un forte segno di cedimento. Il campanello d’allarme per Daniel Scioli è soprattutto la cocente sconfitta della provincia di Buenos Aires, la più importante d’Argentina con i suoi 15 milioni d’abitanti. Non solo il candidato peronista Anibal Fernandez è stato nettamente battuto dalla giovane Maria Eugenia Vidal, del Pro (la coalizione di Macri); ma a rendere ancor più umiliante la sconfitta ha contribuito il fatto che la provincia bonaerense era il feudo di Scioli, che per otto anni ne è stato governatore.
Un altro dato che salta agli occhi e indebolisce Scioli è il pessimo risultato del Frente para la Victoria nelle province di Santa Fe, Cordoba e Mendoza, tre aree fra le più importanti della nazione sotto il profilo economico. Cordoba, seconda città dell’Argentina, ha addirittura voltato le spalle al candidato peronista, relegandolo al terzo posto (anche dopo Sergio Massa) e regalando a Macri il 50% dei consensi. Brutti segnali, insomma.
Come si diceva, ora paradossalmente le quattro settimane che ci separano dal ballottaggio lavorano a vantaggio di Scioli. Il quale potrà decidere come giocarsi due carte importanti per confermare il piccolo vantaggio che ha su Macri. A parte lo scontato appello agli indecisi, già rivolto all’elettorato subito dopo l’uscita del risultati, l’esponente peronista (tiepido peronista, c’è da dire) deve decidere se e come cercare i voti del “terzo incomodo” Sergio Massa e anche quale ruolo dare alla “presidenta” uscente Cristina Fernandez Kirchner, che finora sembra averlo più danneggiato che favorito.
Capitolo Massa: l’ex capo di gabinetto di Cristina, un tempo enfant prodige del peronismo, se n’è andato sbattendo la porta alcuni anni fa. Considerato alla stregua di un traditore, Massa è giovane, spregiudicato e molto ambizioso. Ma ora, alla luce del ballottaggio, il suo 21% diventa piuttosto ambito, sia da Scioli che da Macri. Vedremo se ci saranno trattative occulte o alla luce del sole.
Capitolo Cristina: in questi giorni la presidente uscente sembra scomparsa, ma nelle prossime quattro settimane dovrà decidere se esporsi per sostenere Scioli oppure mantenere il basso profilo. Al candidato peronista, infatti, la vicinanza della vedova Kirchner sembra aver fatto più male che bene. Uomo di grandi capacità amministrative ma privo di carisma politico, Scioli è stato accusato da alcuni di essere troppo poco “kirchnerista”, da altri invece di essere troppo succube di Cristina. La campagna per il ballottaggio, che prevede fra l’altro un faccia a faccia televisivo con Mauricio Macri, potrebbe essere l’occasione per crearsi una nuova immagine.
@barbadilloit