Meraviglioso esemplare di mantide intellettuale. Costruisce amori per demolire uomini e resuscitarli nelle loro opere. Collezionista seriale di noti artisti e filosofi, lambisce avidamente erudizione, mordendo sapienza dalle carni maschili. Predatrice culturale, lascia al suo passaggio una carrellata di cuori malridotti. Un’aristocratica russa, determinata a divenire se stessa. Transita nell’animo dell’uomo alla maniera di un percorso obbligato, che porti a conclusione la sua ferrea volontà di realizzazione. In grado di ammaliare qualunque creatura, un “Casanova” in fine gonna lunga, rinuncia alla seduzione propriamente femminile, in favore dell’intelletto: superare la donna per diventare l’”Übermensch” nietzsciano, l’oltre-uomo. Tutto questo e molto altro è Lou Andreas-Salomé (San Pietroburgo, 1861 – Gottinga, 1937), l’elegante femme fatale che nel sovvertimento di valori e tradizioni, forgia se stessa in una archetipica Artemide di fine ottocento.
Nell’adolescenza vive l’abbandono della fede: Dio, un nonno generoso portatore di doni, scompare dalla sua vita e diviene invenzione fantastica puramente umana. Un’assenza che Lou colma nell’atto di investire la figura maschile di un’aura divina, sino al preciso istante in cui si rivela l’umanità. Quell’atto terreno di volerla chiudere in un matrimonio, diviene il momento in cui l’amato si fa lontano. E Salomé è di nuovo in quell’incedere alla volta di altre creature, oggetto di ulteriori nomine. Ogni uomo è la preparazione al successivo.
Hendrik Gillot, un pastore olandese che incontra all’età di diciassette anni, rappresenta la nodale circostanza per la sua formazione intellettuale. Realizzazione che si farà affilata arma di seduzione, per la “gatta narcisista”. La sfera cerebrale figura nella la donna come un mezzo per domare l’uomo. Non tenta la via dell’uguaglianza tra maschile e femminile. Non le interessa la questione dell’identicità, quanto la dimostrazione che nella differenza sessuale, il magnete del carisma e la virtù fanno della donna una creatura umana oltre l’uomo. Nella fragilità e nella presunta inferiorità del “sesso debole”, rintraccia una luce accecante, raggio luminoso di pregio.
Lou è creatura ambivalente, al suo interno si agitano intelletto e seduzione senza mai integrarsi. Figurano come peculiarità antitetiche. Rifiutandosi come donna – resta casta sino all’età di trentatré anni – si afferma come femminile calamitante e inafferrabile. Una carnalità trattenuta che miete prigionieri, prima e dopo la sua esplosione. Quando Gillot, nel volerla arginare in un legame ufficiale, perde le virtù divine, Lou vive la potenza del disinganno. Nel rinvenimento dell’umano, prosegue alla realizzazione di se stessa. L’amore esiste solo come sublimazione nel mito.
Il pastore olandese disegna l’allestimento della scena successiva: l’incontro con Friedrich Nietzsche e Paul Rée. Accade la sospirata trinità, una visione onirica della Salomé, portata finalmente a compimento. La seduzione si innesca nei due uomini attraverso una scoperta: la femmina completa. Non cerca nell’altro l’ultimazione. La detta altra metà è un’ennesima lei già assimilata. Non è fame d’amore il motore verso il prossimo, ma curiosità intellettuale, filosofica e spirituale. L’approccio spiazzante di una donna che, nella propria compiutezza, non si rende richiedente. Ambedue gli uomini, uniti da una forte amicizia, tra gelosie e rincorse, la chiedono in matrimonio, ma la “bestia bionda” è già lontana.
Lou Salomé, che da Nietzsche ha assaporato il boccone amaro della precarietà di equilibrio, è ora pronta per indagare la psiche. È preparata per Sigmund Freud, la psicanalisi, l’introspezione e la consapevolezza della perdita come elemento fondante di ogni relazione. Lo smarrimento di Dio e di suo padre, durante la fase adolescenziale, descrivono l’emblema di tutta l’esistenza:
“È indicativo: la nostra prima esperienza è una perdita. Poco prima eravamo un tutto, un’entità indivisibile, ogni forma di esistenza ci era inseparabile ed ecco che a un tratto, costretti a nascere, non diventiamo altro che una particella residua dell’essere la quale, da quel momento in poi, deve sforzarsi di non subire nuove limitazioni per conservarsi nel mondo sempre più vasto che le si erige dinanzi, quel mondo nel quale cadde dalla sua pienezza cosmica.”.
A Carl Gustav Jung, la donna confida il suo rapporto con Freud, edificato sulle fondamenta di una stima reciproca. Una delle rarissime privilegiate che il fondatore della psicoanalisi, investe di fiducia e ammirazione. L’empatia innata di Lou Salomé verso l’altro, è rintracciabile e documentabile nei suoi ultimi trent’anni di vita, nell’operato di psicoanalista. Una professione predisposta da tempo in tutta quella scrupolosa attenzione, riservata ai primi anni dell’esistenza, al periodo dell’infanzia.
Ancora, persino il matrimonio con l’orientalista Carl Andreas si colloca nella sfera del sovversivo: infedeltà tollerate, ne faranno solo un’istituzione dove tornare di tanto in tanto.
“La poetessa della psicoanalisi” non è moglie, lo diventa solo nella misura in cui è anche amica, figlia, madre e amante. Il valore di intellettuale è rinvenibile nella sua scrittura, una prosa alta, intrisa di dottrina psicoanalitica e filosofia. Lascia l’immagine di una creatura completa, autosufficiente, aristocratica ed elegante. Una seduzione che utilizza la risorsa di un intelletto raffinato, frutto di studio e curiosità, rinunciando all’esercizio di un eros più semplice da maneggiare.
Figura un’eccezione nella sua galleria di cuori infranti: Lev Tolstoj, unico tra i noti a opporre resistenza a quel fascino così potente. Alcune opere, tra le quali lo stesso “Also sprach Zarathustra” di Nietzsche, sono il risultato del materiale che Lou feconda negli uomini. Una sorta di Zefiro botticelliano dalle sembianze femminili. Rainer Maria Rilke, anch’egli nella galleria amorosa, le dedica alcune tra le poesie più belle.
La femme fatale nella figura di Lou Andreas-Salomé, cede fieramente il posto alla femme intellectuelle.