Riformare la scuola è compito che la politica dovrà assumersi al più presto. Intanto, facciamo un po’ di brainstorming con una specie di questionario proustiano che abbiamo rivolto non solo ai tecnici della pedagogia.
È probabile che nella vita abbiate letto, per voi o per i vostri ragazzi, vari tra i libri di Dino Ticli, che siate andati in vacanza nell’avventurosa Isola di Piro Piro tenendovi la pancia dalle risate, che abbiate rifatto la Storia insieme ai suoi personaggi lontani di ere ed ere, misteriosi e grandiosi. Laureato in geologia, divulgatore scientifico, già conservatore dei musei di storia naturale di Lecco e Merate, Ticli è felicissimo scrittore per ragazzi (basta leggersi Marco va alla guerra, Euno Edizioni, e Ricette bestiali, Edizioni Astragalo) e professore di scienze in un liceo – ma non riveliamo dove insegna, altrimenti di sicuro partirebbe una migrazione di massa verso quell’unico istituto. Perché Ticli è uno di quegli insegnanti pieni di benevolenza che puntano a entusiasmare e non a inculcare dati – razza che ormai rischia di fare la stessa fine dei suoi formidabili dinosauri.
La scuola di oggi riesce a dare agli studenti gli strumenti per affrontare le necessità di questo tempo? È ora di riformare radicalmente i suoi programmi? Partendo da cosa? Che cosa cambierebbe, che cosa toglierebbe, che cosa introdurrebbe?
Cambierei il falso efficientismo. Temo che stia venendo meno il desiderio di suscitare la passione, la curiosità, il desiderio di conoscere che sono il cuore di una mente ben formata che sa stupirsi della complessità del reale e si pone in posizione di ricerca. Questo amore per la cultura non necessariamente deve spendersi in un immediato tornaconto pratico e in ricaduta economica. Non è raro e rattrista il cuore sentire qualche alunno domandare se una determinata scelta di studi universitari può assicurare o meno una buona posizione economica.
Io, insegnate delle superiori e scrittore per bambini e ragazzi, presso i quali spesso intervengo con laboratori e letture, mi stupisco piacevolmente nel vedere che i più piccoli si sanno entusiasmare, sanno meravigliarsi e sono curiosi di conoscere. La scuola tuttavia a volte spegne questa scintilla e i ragazzi perdono freschezza e spontaneità e sono solo preoccupati di verifiche, voti, di trovare scappatoie per ottenere risultati con il minimo sforzo e senza molto interesse. Anche le famiglie a volte sono troppo preoccupate che i figli siano promossi, aldilà della loro preparazione, ponendosi in contrapposizione con l’azione educativa della scuola. Negli ultimi anni, anche per la riduzione del carico orario dopo le ultime riforme, i programmi stanno diventando frammentari e spesso nozionistici, come pezzi un puzzle scollegati tra loro.
Le ultime riforme hanno voluto dare spazio a discipline quali le lingue straniere e l’informatica, che vanno tuttavia considerati soprattutto codici, strumenti sicuramente importanti se al servizio delle altre aree culturali che invece sono state penalizzate. Mi riferisco in particolare all’area scientifica, dove non basta conoscere fatti e fenomeni, ma è necessario comprenderli nella loro complessità e nelle strette relazioni che hanno gli uni con gli altri nell’armonia dell’universo.
Come potrebbe una buona scuola favorire l‘inserimento nel mondo del lavoro?
Non tanto inserendo precocemente gli studenti, in particolare quelli che affrontano studi liceali, nella realtà lavorativa, né tantomeno specializzandoli in un mondo in veloce e rapida evoluzione, dove sono richieste la massima flessibilità mentale, la capacità di leggere situazioni nuove, adattarsi, convertirsi e trovare nuove soluzioni. Credo che sia questa la ragione che porta ancora oggi molti istituti di ricerca stranieri a richiedere (a portarci via…) e ad apprezzare i nostri giovani ricercatori. Ritengo poi che questo sia uno degli aspetti della scuola tradizionale italiana che non andrebbe perduto o sostituito con modelli meno efficienti importati dall’estero. Le capacità di ragionare e di dare parola ai propri pensieri si acquisiscono solo imparando ad ascoltare e ad argomentare, leggendo, criticando, discutendo, studiando il pensiero dei grandi che ci hanno preceduto.
Non è necessario, sempre, dalle elementari alle superiori, lasciare ai ragazzi del tempo per coltivare altre qualità oltre all’efficienza della mente?
L’efficienza della mente si può spendere ovunque, ma si può apprendere e educare solo con bravi maestri, in particolare a scuola ma anche a casa. Mille altre qualità rendono l’uomo più completo e non sempre è la scuola il luogo adatto o l’unico dove coltivarle. Ad esempio i valori dell’animo, come la tolleranza, la solidarietà, il desiderio di pace ecc., non possono essere interiorizzati se trasmessi solo dalla scuola, e poi magari contraddetti dalla famiglia o dalle comunità che si frequentano.
È vero, almeno qualche volta, che “lo stupido istruito ha solo un campo più vasto per praticare la sua stupidità”?
La frase del filosofo-scrittore Nicolás Gómez Dávila sottolinea in modo aforistico e paradossale un pensiero che ho precedentemente sviluppato: possiamo considerare davvero istruito e pronto per il mondo, anche del lavoro, colui che ha immagazzinato nozioni su nozioni? Un simile uomo rischia di essere solo uno stupido, magari presuntuoso e saccente. Definirei invece “istruita” una persona che assapora e ama il gusto della conoscenza e, come Socrate, si rende sempre più conto dei suoi limiti e dell’immensità del sapere. Un uomo colto è colui che assomma conoscenza e umiltà.